La Netflix della Cultura sarà un fallimento

Il progetto ministeriale della cosiddetta “Netflix della Cultura” sarà fallimentare, ma lo spreco di denaro pubblico che poteva essere investito in altro rimarrà.

La cosiddetta “Netflix della Cultura” (che poco o nulla somiglierà a Netflix, dato che non sarà basata sul sistema ad abbonamenti tutto incluso) vedrà la luce all’inizio del 2021: una nuova compagnia di proprietà al 51% di Cassa Depositi e Prestiti e al 49% del gruppo Chili, su cui il Ministero dei Beni Culturali potrebbe quindi non aver alcun potere ma a cui, dopo aver investito 10 milioni di euro, si limiterà a cedere i materiali gratuitamente. Ci siamo già soffermati su alcuni dettagli poco promettenti di questa storia.

Con ogni probabilità sarà un fallimento, l’ennesimo per piattaforme ministeriali online come Italia.it e Verybello. Certo, nei primissimi mesi dal lancio MiBACT e Ministro si spenderanno per celebrarne il supposto successo (accade già adesso), come è avvenuto con le piattaforme precedenti, naufragate poco dopo aver visto la luce. Ma nel giro di uno o al massimo due anni, l’esito finale sarà chiaro a tutti. Questo è piuttosto prevedibile e i motivi sono già stati evidenziati in altri articoli: le visite virtuali di bassa qualità non attirano il pubblico, e il modello Chili, in cui si paga il singolo servizio, non pare funzionare più di tanto. Ma, anche nella remota ipotesi in cui questa nuova piattaforma funzionasse, gli introiti sarebbero per la nuova compagnia privata e lo spreco di denaro pubblico resterebbe, dato che tutta questa operazione sarebbe potuta andare in porto con RaiPlay senza ulteriori oneri per le finanze ministeriali. Oppure, visto che Franceschini invoca a gran voce la creazione di una piattaforma unificata europea per i contenuti culturali, si sarebbe almeno potuto valutare attentamente quanto già esiste a livello comunitario: Europeana, da un lato, biblioteca digitale in cui l’Italia è poco rappresentata, Arte.tv dall’altro, emittente franco-tedesca specializzata in contenuti culturali e disponibile in tutta l’Unione Europea (da cui riceve un cofinanziamento) la cui mission è il servizio pubblico e che si presenta oggi come una realtà in forte crescita.

Un celeberrimo tweet del 2015 che celebrava il supposto successo di Verybello.it

Nulla di tutto ciò. In questa sede, però vogliamo soffermarci su altro. Sul fatto che alla fine di questa storia, comunque vada, saranno stati buttati come minimo (perché si tratta solo dell’investimento iniziale) 19 milioni di euro provenienti dalle casse pubbliche. Ora, noi lavoratrici e lavoratori dei beni culturali spesso non ci fermiamo a osservare le cifre, eppure 19 milioni di euro non sono pochi: il fondo per i piccoli musei istituito dal MiBACT è di 2 milioni, il fondo per i borghi di 750 mila euro, lo stanziamento annuale del 2020 per l’intero settore biblioteche è di 4 milioni di euro, di 1,3 per gli archivi. Se 19 milioni di euro non sono sufficienti per risolvere i problemi dell’intero settore culturale, di certo avrebbero potuto costituire un inizio (da qualche parte bisogna pur cominciare!) per affrontare qualche problema, attivare qualche circolo virtuoso. Perché c’è davvero tanto da fare: stando ai dati ISTAT, ad esempio, più del 50% dei musei italiani non ha un sito internet, non ha canali social, non è accessibile a persone con ridotta capacità motoria… ed è in cronica carenza di personale. Pensate, e lo diciamo a chi ci legge e ha una piccola cooperativa o associazione culturale, se una cifra molti più piccola, diciamo 50, 100 mila euro, vi fosse stata fornita per mettere in piedi un progetto, uno dei tanti meditati da tempo ma rimasti finora nel cassetto in attesa del giusto finanziamento.

Invece il nostro Ministero, costantemente, piange miseria, e in effetti è vero che l’investimento in Cultura nel nostro Paese è minimo: ma oltretutto, quella cifra già di per sé insufficiente viene gettata abitualmente alle ortiche. Da marzo, invece di usare i fondi per risolvere i problemi, il MiBACT li spende per appianare i mancati introiti dei concessionari e per continui bonus senza uno straccio di pianificazione.

Perché sì, non crediate che questi 19 milioni siano un’eccezione. Solo per restare alla stretta attualità, pochi giorni fa è stato attivato il “Fondo per la Cultura”: 50 milioni di euro di fondi pubblici per… creare un fondo di diritto privato inutile, dato che esistevano già un’infinità di modi per raccogliere contributi privati. Quindi può ripartire il gioco: pensate se quei 50 milioni fossero investiti in… e completate voi la frase. E il Ministero punta a spendere anche i fondi del Recovery Plan – qui parliamo di miliardi di euro, cifre che sì, questa volta davvero renderebbero possibile la soluzione dei problemi che affliggono il nostro settore – in progetti eccezionali e non strutturali: digitalizzazione (esternalizzata, chiaramente), ristrutturazione di borghi, treni ad alta velocità. E continua così il ciclo: si sperpera, si arricchiscono poche persone, si piange miseria e si spiega che non ci sono soldi per risolvere i problemi.

Mentre è già stata avviata la prima interrogazione parlamentare volta a far chiarezza sulla vicenda, ci chiediamo: forse lo stato di profonda crisi in cui versa ora l’intero settore ci consentirà di prendere coscienza di ciò che sta accadendo e denunciare il folle utilizzo che il MiBACT fa dei fondi pubblici?


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