I primi dettagli dell’operazione economica che dovrebbe portare alla nascita della “Netflix delle Cultura”, con la scelta del partner Chili tv, lasciano perplessi. 

Sono emersi nel corso della giornata del 27 novembre i primi dettagli dell’operazione economica che dovrebbe portare alla nascita della cosiddetta “Netflix della Cultura italiana”, la piattaforma che secondo il Ministro Franceschini dovrebbe salvare il patrimonio culturale italiano in questo momento di chiusure forzate e crisi profonda. Piattaforma di cui in molti avevano sottolineato la dubbia utilità: la stessa identica funzione poteva essere svolta da RaiPlay, offrendo tra l’altro contenuti gratuiti e non a pagamento. Per la Rai lo Stato spende due miliardi di euro ogni anno, e non è chiaro perché una nuova piattaforma costata poche decine di milioni dovrebbe offrire un servizio migliore.

Ma i dettagli economici dell’operazione, riportati da diverse testate giornalistiche e non smentiti dal Ministero, lasciano ancora più perplessi della proposta iniziale. Secondo quanto riportato da Il Messaggero, Cassa Depositi e Prestiti sta trattando con Chili, piattaforma TV on demand fondata nel 2012 da Stefano Parisi (dirigente di Confindustria, ex candidato sindaco di Milano per il centrodestra) come spin-off di Fastweb, con l’ambizione di diventare l’alternativa italiana a Netflix e Sky. La stessa Chili TV che dal 2019 è entrata in partnership con TIM per ampliare il suo pubblico, ma che nonostante questo a settembre 2020 era costretta a registrare l’ottavo bilancio consecutivo in perdita, oltre 19,5 milioni di euro che sono andati a sommarsi al rosso pregresso di 52,5 milioni circa.

In sostanza, l’investimento pubblico in questa operazione è di 9 milioni di euro messi da Cassa Depositi e Prestiti e 10 milioni dal MiBACT, a fronte di un esborso di soli 9 milioni di euro da parte di Chili in “know-how e cash”. Il tutto allo scopo di creare una nuova compagnia controllata al 51% dal pubblico e al 49% da un privato, nonostante ammonti al 67% la quota di investimenti pubblici, per… per vendere un prodotto che, se fosse distribuito dalla RAI, costerebbe meno a tutti i contribuenti, e potrebbe essere distribuito gratuitamente, almeno in parte (anche se l’opzione gratuità non sembra essere mai stata realmente nei piani di Franceschini, che evidentemente ignora i bisogni delle fasce meno abbienti della popolazione).

Sono tante le domande e i dubbi che emergono di fronte a tale operazione. Anzitutto, come è stata scelta Chili? I criteri non sono chiari, dato che, tra le altre cose, l’azienda italiana ha esperienza quasi nulla nella distribuzione di materiale diverso da quello cinematografico. E poi, perché creare una nuova compagnia invece di procedere con un bando pubblico trasparente, se proprio si doveva decidere di esternalizzare? Che tipo di beneficio può dare alle casse pubbliche una simile operazione? Aspettiamo con fiducia i chiarimenti del Ministro in merito a questa vicenda. 


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