Musei e tour virtuali oggi in Italia vengono descritti come entusiasmanti e attrattivi, ma i dati smentiscono questa versione dei fatti.

Tramite i social media si fa prima e i dati sono incredibili: c’è un raddoppio della frequenza delle interazioni, delle iniziative” dice il direttore della DG Musei Antonio Lampis; per il direttore degli Uffizi, sbarcati su TikTok “serve ad avvicinare le opere a un pubblico diverso da quello cui si rivolge la critica ufficiale, ma anche a guardare le opere in modo diverso e scanzonato”; e ancora, per Christian Greco, direttore del Museo Egizio “in questo momento, in cui siamo chiusi al pubblico e costretti a rimanere nelle nostre case, è per noi doveroso renderci comunque accessibili e metterci a disposizione della comunità.” Per il Ministro Franceschini, secondo il quale “In queste settimane di lockdown si è capito fino in fondo la potenzialità enorme del web per la diffusione dei contenuti culturali” è tempo di far pagare quei contenuti, con una Netflix della cultura

Da quando, all’inizio della quarantena, il MiBACT ha lanciato la fruizione di contenuti online e poi il suo Grand Virtual Tour, molte testate giornalistiche hanno raccontato il successo di queste iniziative, questo nuovo rapporto del pubblico con i musei e, più in generale, con gli istituti culturali. Ma di successo si può parlare? Davvero è cambiata la partecipazione culturale? Davvero poter fruire di tour o immagini da casa davanti a uno schermo ha fatto crescere nel pubblico l’interesse?

Dal 10 al 17 aprile 2020 soluzionimuseali-ims ha condotto un’inchiesta dal titolo Ritorno al Museo analisi sull’attitudine al consumo culturale dopo il lockdown. Dal campione intervistato si evince che: “la fruizione online dei contenuti museali non è così diffusa in questo periodo, nonostante quanto riportato da numerosi articoli che attestano la crescita della presenza nei social e nelle ricerche online.” Il numero maggiore dichiara di aver fruito dei contenuti culturali durante il lockdown qualche volta o raramente. Colpisce anche il giudizio sulla qualità generale dell’offerta, ritenuto appena sufficiente.

Il 30 aprile una compagnia che organizza tour museali negli Stati Uniti ha pubblicato un secondo interessante articolo. Analizzando i grafici di Google Trends (strumento che permette di conoscere la frequenza di ricerca sul web) nelle settimane del lockdown, si evince che i tour virtuali sono stati popolari per soli quattro giorni: dopo un picco raggiunto nel mese di marzo l’interesse verso i contenuti culturali digitali cala drasticamente. A quanto pare, come ha affermato il direttore del Rubin Museum of Art, Jorrit Britschgi, “non c’è nulla che possa sostituire gli incontri di persona con l’arte”. Conducendo la stessa ricerca per l’Italia, si nota, con diverse chiavi di ricerca, un picco, pur su numeri piuttosto bassi, nei giorni tra l’11 e il 15 marzo, per poi decrescere gradualmente fino ad arrivare a ricerche molto rare nell’ultima settimana. Il lancio del “Gran Virtual Tour”, datato 4 aprile, sembra aver avuto risultati pressoché irrilevanti.

La crescita dei numeri, dunque, sembra legata più a una mancanza di alternative e a una curiosità iniziale. Puntare agli accessi da remoto e a biglietti online, ora come ora, rischia di essere solo un modo per tagliare ancora di più il costo del personale, senza per questo offrire contenuti di qualità. Il grosso dei musei italiani non ha un sito internet, non ha le risorse per creare contenuti virtuali, moltissimi cittadini italiani non hanno accesso a quei contenuti perché non hanno una connessione a internet (situazione aggravata dalla chiusura delle biblioteche civiche). Come abbiamo già scritto in altra sedeweb e social network possono dare occasioni di lavoro per il nostro settore prima inimmaginabili”.   Investire nella creazione di contenuti digitali di qualità per tutta la cittadinanza può creare occupazione di qualità nell’immediato, e permetterebbe di utilizzare questa fase di emergenza per colmare un vuoto grave e strutturale in questo Paese. Ma in questo momento tali contenuti non esistono e l’interesse è, di conseguenza, molto basso.

L’articolo che hai appena letto, e tutto ciò che trovi in questo sito, è frutto dell’impegno e del lavoro quotidiano di un gruppo di attivisti che da anni lo svolge gratuitamente o a proprie spese. Se ha apprezzato quanto letto, se apprezzi il nostro lavoro, se vuoi permetterci di poter fare sempre più e sempre meglio, AIUTACI con una piccola donazione!


4 Comments

Maite Molesini · 06/05/2020 at 16:05

Concordo con quanto affermato: anche per quanto mi riguarda l’interesse e la curiosità hanno resistito solo per pochi giorni. Come al solito la cronaca riguardante la situazione sanitaria, i programmi televisivi, E le osservazioni sul web inerenti la vicenda reale che stavamo vivendo hanno preso il sopravvento

Sulle visite online e i tour virtuali - Vitamina G · 05/05/2020 at 16:24

[…] Musei e tour virtuali non attraggono il pubblico: ecco i dati […]

#contagioartecultura. Comunicazione culturale, siti web e social network: riflessioni sulla necessità di una presa di coscienza collettiva per poter amare, conoscere e tutelare il nostro patrimonio. - Coordinamento Nazionale per il Patrimonio Culturale · 08/06/2020 at 12:55

[…] il pubblico: ecco i dati, su Mi riconosci? Sono un professionista dei beni culturali (04.05.2020): https://www.miriconosci.it/musei-virtuali-non-attraggono/; M. L. Müller, Tour virtuali al museo: una risorsa per i meno giovani?, su Artribune (10.04.2020): […]

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *