La crisi causata dalla diffusione del COVID-19 sta provocando licenziamenti di massa nei musei di Stati Uniti ed Europa, in particolare nei dipartimenti educativi.

La crisi economica generata dalla diffusione del COVID-19 e la chiusura imposta anche ai musei sta causando una serie di licenziamenti a valanga in molti paesi d’Europa e oltreoceano. E non parliamo solo di piccoli musei.

Il 3 aprile i responsabili del dipartimento educativo del MoMA di New York, via mail, avvisano i loro 85 educatori freelance della sospensione dei loro incarichi, senza alcun orizzonte di reimpiego. Nel loro comunicato specificano: “Con la chiusura a tempo indeterminato del Museo, abbiamo affrontato la dolorosa realtà che non ci saranno nuovi incarichi contrattuali da offrire a un gruppo di eccellenti educatori freelance che lavorano all’occorrenza nei musei di tutta la città, incluso il MoMA.”

Anche il  Massachusetts Museum of Contemporary Art dall’11 aprile ha avviato massicci licenziamenti di 120 dei suoi 165 impiegati, in ogni dipartimento del museo; il direttore Joseph Thompson in un’intervista ha dichiarato: “La nostra missione è quella di riunire un gran numero di persone attorno a momenti di creatività individuale e di gruppo, ed è ovviamente impossibile farlo ora e non sappiamo quando sarà possibile riprendere e lavorare di nuovo.” Stessa sorte per i collaboratori del Whitney Museums, che prevedendo un calo delle visite e di introiti (pari a circa 7 milioni di dollari), ha licenziato 76 lavoratori principalmente occupati nei servizi educativi per i visitatori. E ancora, a causa delle difficili circostanze causate dal coronavirus, il MOCA di Los Angeles azzera ogni collaborazione con tutti i suoi lavoratori part time e ne lascia a casa 97, circa la metà del personale del museo composto in totale da 185 dipendenti. Una lavoratrice che collaborava con il MOCA da cinque anni racconta: “Stavo lavorando nel Dipartimento Educazione al MOCA conducevo visite guidate. Avremmo potuto svolgere una parte del nostro lavoro da remoto. In effetti, io e i miei colleghi dopo la chiusura del museo stavamo lavorando per fornire contenuti e programmazione online per il “Virtual MOCA”.

La situazione più drammatica non a caso è negli Stati Uniti, dove i Musei, essendo privati, possono agire come una qualsiasi azienda: molti rischiano di chiudere, i più grossi licenziano in massa, e si apre la possibilità di vendere le collezioni per limitare le perdite. 

Se diamo uno sguardo a cosa sta succedendo in Europa, scopriamo che a Porto la Fondazione Serralves, museo d’Arte Contemporanea di Porto, taglia il numero dei propri dipendenti – 23 in totale, lavoratori in regime di collaborazione esterna permanente impegnati nei servizi educativi del museo. In serie difficoltà sono inoltre i professionisti esternalizzati dei musei spagnoli, e quelli dei musei italiani: i casi dei Musei Civici di Padova e di Venezia sono stati denunciati ai giornali, quello dell’Egizio di Torino è arrivato in televisione attraverso la direttrice della Fondazione, ma molti di più sono i collaboratori esterni dei musei italiani che hanno perso l’impiego ormai da mesi, come indicano le tante segnalazioni che il nostro gruppo ha ricevuto e i pochi ma chiari dati a disposizione: spesso questi collaboratori si occupavano dei servizi educativi. 

I numeri sono impressionanti, colpisce poi che la maggior parte dei tagli siano stati effettuati ai dipartimenti educativi. Eppure negli ultimi decenni il ruolo dell’educatore, quello di chi opera all’interno delle istituzioni museali occupandosi dell’educazione informale e dei processi di apprendimento dei diversi pubblici, mantenendo così attivo e stabile nel tempo il processo conoscitivo, è stato sbandierato come centrale. Ma nella pratica si è tradotto spesso in un lavoro privo dei minimi diritti. In sostanza la figura professionale dell’educatore museale appare indispensabile oltre che fondamentale solo finché non sopraggiungano difficoltà economiche.

Molti direttori dei musei hanno giustificato in modo ottuso questi licenziamenti spiegando che le mansioni degli educatori museali sono strettamente legate ai pubblici dei musei che li visitano, e che con la chiusura il loro ruolo non ha più ragione d’esistere. Ma davvero è così?

In molti, va detto, non la pensano così, anche nel nostro Paese. La direttrice del Castello di Miramare di Trieste ci ricorda che: “Se vuole mantenere la sua funzione pubblica, educatrice e culturale un museo non può chiudere, deve restare aperto con le modalità che oggi la tecnologia e la comunicazione ci consentono. Un museo è una piccola fucina operosa dove si creano esperienze di conoscenza, si produce educazione e cultura. Io sono convinta del valore insito che un museo può apportare al benessere e alla vita di tutti, anche in momenti difficili come questo.”

A Milano, invece, il Museo Diocesano dichiara di non aver licenziato alcun dipendente e di aver favorito anche il lavoro delle guide museali, collaboratori a chiamata che altrove sono stati i primi invece a perdere il lavoro. Entrambi i casi citati mettono al centro la funzione educativa del museo e la semplice chiusura non ha significato il termine della loro missione.

In tante altre istituzioni il personale è stato messo a lavoro da remoto per creare contenuti educativi online ma, come ha dimostrato lo scorrere delle settimane, la mancanza di investimenti e pianificazione ha prodotto troppo spesso contenuti poco attrattivi e interessanti. E in mancanza di investimenti ad hoc, è difficile scovare situazioni in cui nessuno, neppure tra i collaboratori occasionali, abbia perso il lavoro.

Anche i più alti dirigenti ministeriali del nostro Paese sembrano adombrare la possibilità che i musei funzionino con biglietterie online e senza personale. Eppure, anche in una situazione tanto tetra, le proteste che arrivano dal mondo degli operatori e degli educatori museali sembrano rivelare una nuova consapevolezza del proprio ruolo. Professionisti del settore provenienti dalle più differenti realtà museali stanno sottoscrivendo, dal 21 aprile, una lettera aperta per denunciare questa preoccupante tendenza ai licenziamenti che ha colpito il personale educativo di numerose istituzioni museali, ne chiedono l’immediata interruzione e rivendicano per i lavoratori assunzioni con contratti di lavoro sicuri ed equamente retribuiti. Si legge: “Imploriamo musei e gallerie a cogliere l’occasione per reinventare, con i loro lavoratori e le loro comunità, il ruolo della cultura ai tempi di COVID-19 e le sue conseguenze. E chiediamo a quei musei che lo stanno già facendo di farsi avanti e parlare a nome dell’istituzione e degli altri lavoratori essenziali presi di mira da questi tagli.”

Un’altra petizione, lanciata da un gruppo di lavoratori anonimi che si firmano con la sigla “New York City Art Workers”, ha raccolto già più di 3.000 firme. Nel loro appello accorato emergono tutte le contraddizioni del modello americano di gestione museale, ovvero quello di un’azienda privata a tutti gli effetti.

Manifesta il proprio dissenso e preoccupazione anche l’Associazione degli educatori museali di Madrid AMECUM con la pubblicazione di un documento aperto dal titolo: la precariedad laboral de las educadoras y mediadoras culturales en el contexto del COVID-19 dove esprimono solidarietà e sostegno agli educatori del MoMA di New York e della Fondazione Serralves di Porto, licenziati con il “pretesto della crisi del COVID-19”. Rivendicano con forza il riconoscimento che il loro lavoro merita, la stabilizzazione contrattuale e la creazione di una politica culturale che metta al centro il diritto alla cultura di tutti i cittadini.

Anche in Italia la crisi scatenata dal COVID-19 ha riacceso profonde riflessioni sul ruolo dell’educatore museale. È nato un gruppo Facebook nel quale gli educatori si stanno confrontando su una nuova definizione da dare a questa professione (sulla base di quanto già scritto dall’ICOM nella Carta Nazionale delle Professioni Museali) e su quali siano le criticità dal punto di vista lavorativo-contrattuale, con lo scopo di ottenere riconoscimento e dignità professionale.

I musei non sono contenitori di reperti e macchine da biglietti, per il futuro dei lavoratori e del nostro Patrimonio culturale servono scelte radicali e coraggiose che cancellino trent’anni di errori. Lo Stato oggi più che mai ha la grande responsabilità e occasione di ribaltare questo sistema malato che nuoce gravemente anche alle nostre vite, condannate a una precarietà a tempo indeterminato. Lo può fare costruendo un sistema che funzioni, nel vantaggio di tutti.

Anche in questi tempi difficili, il nostro impegno non è venuto meno. Ogni giorno mettiamo a disposizione il nostro tempo per offrire informazione e analisi, per costruire un settore culturale più giusto, per noi e per gli altri. Se hai apprezzato quanto letto, se apprezzi il nostro lavoro, se vuoi permetterci di fare sempre più e sempre meglio, SOSTIENICI con una piccola donazione!