Dobbiamo parlare di violenza di genere non come eccezione ma come un problema strutturale diffuso, anche nel settore culturale.

La violenza contro le donne viene definita come “qualsiasi atto di violenza di genere che provoca o possa provocare danni fisici, sessuali o psicologici alle donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia che si verifichi nella vita pubblica o privata” (Nazioni Unite, Vienna, 1993). Noi, come esseri umani, ma anche come lavoratrici e lavoratori di un settore popolato per il 75% di donne, abbiamo il dovere di parlarne.

Secondo il rapporto ISTAT SDGs 2020-informazioni statistiche per l’Agenda 2030 “In Italia nel 2018 sono stati commessi 133 omicidi di donne (10 in più rispetto al 2017); circa 80 donne su 100 (79,7%) sono state uccise in ambito domestico e da un soggetto ben conosciuto dalla vittima (+7% rispetto al 2017). Di queste, 63 donne (47,4%) sono state uccise per mano del partner attuale (+11,6% rispetto al 2017), 10 sono state uccise dall’ex partner (7,5%) e 33 da un altro familiare (24,8%). Nel 2017 si registrano 253 centri anti violenza (CAV) attivi nel nostro Paese, ai quali si sono rivolti 43.467 donne e 211 case rifugio con 1.786 donne ospitate. Il 27% delle donne che si sono rivolte ai CAV sono straniere. Il tasso medio di copertura nazionale e di 1,7 centri ogni 100.000 donne di età superiore ai 14 anni (0,9 per i CAV e 0,8 per le case rifugio)”.

Ma andiamo ad analizzare dati ancor più recenti. Secondo il “dossier Viminale” presentato a Ferragosto dal Ministero dell’Interno, che espone i dati raccolti dal 1 agosto 2019 al 31 luglio 2020, in questo lasso di tempo sono stati rilevati 278 omicidi, 149 dei quali hanno avuto come teatro l’ambito familiare/affettivo; tra le vittime di questi ultimi, il 69,8% sono donne. Se si restringe l’analisi ai 106 omicidi avvenuti durante il lockdown (considerato dal 9 marzo al 30 giugno 2020), 58 sono in ambito familiare/affettivo, e di questi il 75,9% delle vittime è donna.

È ancora diffusa la tendenza a pensare questi numeri come eccezioni, singoli casi mostruosi, o riguardanti solo degli isolati individui “anormali”; invece la violenza sulle donne è sistemica, un prodotto dello specifico ambiente culturale in cui viviamo. Lo vediamo tutti i giorni nei nostri ambienti lavorativi, affettivi, familiari. Lo abbiamo visto l’anno scorso attraverso i risultati della nostra inchiesta su discriminazioni e violenze di genere nel settore culturale. “Un docente ha iniziato a scrivere in chat ad una mia collega di corso chiedendole di posare nuda per una pubblicazione”; “Ho dovuto lasciare un lavoro che svolgevo con piacere e successo da 10 anni perché ad un cambio di gestione il nuovo direttore tentava approcci fisici nonostante i miei ripetuti rifiuti”; “Ho subito una proposta di rapporti sessuali in cambio di un posto in dottorato”, solo per citare alcune delle centinaia di testimonianze che abbiamo raccolto.

Con riferimento ad alcuni recenti fatti di cronaca, possiamo esaminarne le molteplici sfaccettature, e vedere come diventi un problema culturale, per esempio, quando ancora troppe persone non hanno gli strumenti per capire che web o app di messaggistica non sono un mondo parallelo dove si può tranquillamente evitare di rispondere delle proprie azioni o rendere pubbliche immagini e video privati a contenuto sessualmente esplicito senza il consenso delle persone rappresentate. O quando, come racconta un caso recente ormai tristemente noto, a causa della diffusione illecita di video di questo tipo, ad essere costretta alle dimissioni e a perdere la faccia sia una donna, che chiaramente non voleva che quelle immagini diventassero pubbliche; si sviscerano in prima pagina tutti i particolari della sua vita privata mentre dell’autore della divulgazione si sa solo che “faceva il calciatore nel tempo libero”. Quando in una situazione del genere altre donne, anziché empatizzare e punire il colpevole, additano la “poco di buono”, la diffamano, la ricattano. Quando si pretende che una donna non abbia una vita sessuale sulla base del ruolo che ricopre, ma è un problema soprattutto quando non si riesce proprio ad immaginare la stessa situazione a sessi invertiti.

È un problema culturale quando si dà addosso ad una donna, ancora una volta maestra, per aver proposto (non attuato) un laboratorio sulla decostruzione degli stereotipi di genere nelle fiabe, e lo si fa, ancora, attraverso i social e la gogna mediatica, delegittimando l’autorità della maestra in quanto donna.

È un problema culturale quando un docente universitario si permette in virtù della sua posizione di elargire sapienza in chiave sessista, tra l’altro ad una platea a maggioranza femminile, perpetrando stereotipi ormai superati con frasi come “le madri devono stare a casa con i figli”, “non ci possono essere giudici donne, perché giudicare vuol dire essere imparziali e le donne invece sono condizionate dall’emotività”, ma anche nei confronti delle coppie omosessuali che “non possono crescere figli”.

È un problema culturale se si analizzano le modalità narrative ancora molto diffuse nel descrivere, sui vari media, i femminicidi per mano di partner/ex partner/familiare e gli abusi, dove l’autore materiale viene sempre giustificato in qualche modo, gli vengono concesse tutte le attenuanti possibili e si cerca di deresponsabilizzarlo agli occhi dei lettori, mentre la vittima, quella vera, viene rivittimizzata scavando nel suo privato e mettendo in luce particolari morbosi che hanno il fine ultimo di giustificare la violenza subita, di minimizzarla, sminuirla, perchè in fondo “se l’è cercata”.

È un problema culturale perché, in tutte le sue varie forme, evidenti e manifeste o più subdole, la violenza sulle donne non è casuale, ma un fenomeno endemico e trasversale, radicato nella struttura delle nostre società; riguarda tutte e tutti, e ancora più da vicino noi professioniste e professionisti del settore culturale, che per lavoro dovremmo comunicare e produrre cultura, e favorire una crescita della nostra comunità. È compito di tutti noi denunciare situazioni che possano costituire un terreno fertile per il radicarsi della violenza di genere ogniqualvolta si verifichino sul luogo di lavoro, accrescendo la cosapevolezza e la sensibilità su queste tematiche. È anche compito nostro elaborare e diffondere, sulla base della critica dell’esistente, una cultura che non produca sistematicamente violenza.


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