A Milano i lavoratori esternalizzati di musei e biblioteche hanno da tempo proclamato lo stato di agitazione, ora le organizzazioni sindacali e l’amministrazione sono giunte ad un accordo.

Può la vertenza dei musei di Milano fare da apripista a una nuova stagione di diritti nei musei italiani? Difficile dirlo, ma è legittimo chiederselo, dopo gli eventi di questa settimana. Riassumiamoli brevemente.

Lo scorso marzo, 200 lavoratori esternalizzati dei musei civici e delle biblioteche di Milano sono entrati in stato di agitazione. Alla fine di un’assemblea molto partecipata, il 25 maggio, Filcams Cgil, oltre ad aver dichiarato la volontà di scioperare, ha indetto anche un’assemblea pubblica per il pomeriggio del 31 maggio, in Piazza della Scala e in concomitanza con la seduta del consiglio comunale, che avrebbe comportato la chiusura dei Musei Civici.

Il pomeriggio prima di questa assemblea pubblica, le organizzazioni sindacali e l’amministrazione comunale sono giunte a un accordo sulla vertenza. Esso prevede, per il prossimo cambio di appalto, tra sei mesi, “piena applicazione del Protocollo sugli appalti, continuità occupazionale, stipendi come previsti dal CCNL di settore (Federculture) e non ribassabilità del costo del lavoro posto a base di gara”. In breve, tutte le richieste dei lavoratori sono state accettate dal Comune.

Nei Musei Civici di Milano, i circa 200 addetti ai servizi di sorveglianza e ricevimento attualmente lavorano in condizioni di sfruttamento estremo: almeno la metà di loro lavora a chiamata, con turni imprevedibili, che possono arrivare anche a 10 ore consecutive e che vengono comunicati di volta in volta; i lavoratori che guadagnano di più ricevono un salario di 5,49 euro l’ora (quelli con la paga più bassa arrivano a un netto di neanche 4 euro l’ora); le pause non di rado saltano e, oltre a mancare anche gli spazi per i pasti, i dipendenti devono acquistare le divise in autonomia. Questi lavoratori sono esternalizzati, quindi non sono diretti dipendenti del Comune. Le loro condizioni sono passibili di cambiamento, di solito in peggio, ad ogni cambio di appalto: nel 2010 sono passati da un contratto Multiservizi (pensato per addetti alle pulizie e mense) a quello di portierato, per poi passare, nel 2018, al contratto Servizi Fiduciari: in questo modo le paghe sono diminuite fino ai 4 euro l’ora. In tre anni, oltre un quinto dei 150 dipendenti esternalizzati coinvolti ha abbandonato. Ma il ricambio, per quanto difficile, è costante, e la minaccia di essere assolutamente rimpiazzabili nel caso non si accettino queste condizioni pietose è sempre pressante.

Lo stato di agitazione proclamato il 25 maggio, come prevedibile, ha subito riscosso un certo interesse a livello locale e nazionale. Il solo richiamo a uno sciopero e quindi a una chiusura dei musei suona inaudito a un’opinione pubblica abituata agli elogi della cultura come “bellezza”, ma di solito totalmente all’ignaro delle condizioni di chi lavora nella cultura. Infatti, è bene sottolinearlo, i Musei Civici di Milano non sono affatto un’eccezione: essere esternalizzati/e, sottopagati/e e sottoimpiegati/e è spesso un’assurda normalità per i lavoratori e le lavoratrici dei musei pubblici italiani. Basti citare il caso dei Musei Civici di Trieste, i cui lavoratori, esternalizzati, assunti con il CCNL Servizi Fiduciari e pagati mediamente 5 euro l’ora, sono in stato di agitazione da inizio aprile.

Da questo punto di vista, la vertenza di Milano potrebbe fare da apripista e l’accordo raggiunto, se difeso e rispettato, potrebbe diventare un riferimento importante nelle rivendicazioni di molti altri istituti culturali italiani. Ma, appunto, ora si tratterà di far rispettare gli impegni presi dall’Amministrazione Sala, che d’altronde aveva già sottoscritto, appena un anno fa, un “Protocollo di Intesa per la qualità e la tutela del lavoro negli appalti di lavori, servizi e forniture del Comune di Milano”: protocollo che di fatto viene ampiamente disatteso per le condizioni di lavoro nei Musei Civici. Ora, se tutto andrà secondo gli accordi, per altri sei, lunghissimi mesi i lavoratori continueranno ad essere impiegati a quattro euro l’ora. Tuttavia, nell’assemblea sindacale all’indomani dell’accordo raggiunto, mentre i Musei Civici rimanevano chiusi, si è fatto largo un generale sentimento di soddisfazione e speranza, non solo per la prospettiva, tutta da difendere, di un lavoro finalmente dignitoso, ma anche per la spinta alla lotta che l’accordo raggiunto potrebbe ispirare anche in altri contesti. E la forza che ha avuto la proclamazione di un’assemblea pubblica e anche solo la menzione di uno sciopero nei musei fa ben sperare per tutte le proteste che negli ultimi mesi si sono attivate con intensità nuova nel mondo del lavoro culturale.

Ora, affinchè l’accordo raggiunto abbia un valore, sarà indispensabile mantenere alta l’attenzione sulla prossima gara di appalto e la pressione sull’Amministrazione Comunale. E poi forse si potrebbe fare qualche speculazione: in quale museo la prossima vertenza? E a quando uno sciopero nei musei?


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