Villa Olmo, patrimonio della città di Como, riapre oggi dopo essere stata chiusa un mese per permettere la celebrazione di un evento privato.

Un milione di euro è una cifra sufficiente per privare una comunità di un importante luogo culturale e sociale? Il Comune di Como non ha avuto dubbi nel rispondere a questa domanda quando ha accettato questa somma per affittare gli spazi di Villa Olmo dal 6 giugno al 4 luglio al magnate britannico Alan Howard per la celebrazione del suo matrimonio: l’intera villa e gran parte del suo parco, che è l’unico parco pubblico cittadino, è rimasta quindi blindata un mese.

La notizia era stata data, in sordina, lo scorso aprile quando ancora non era possibile rivelare il nome del misterioso affittuario. A giugno, praticamente allo spuntare delle transenne e all’avvicinarsi delle elezioni amministrative, è iniziata l’indignazione generale.

A suscitare clamore non sono stati solo i super invitati, la magnificenza della location e tanti altri dettagli riguardanti i fastosi preparativi, ma anche gli innumerevoli disagi che questo evento ha arrecato alla cittadinanza, anche a causa delle incongruenze nella comunicazione delle tempistiche e modalità delle restrizioni.

La celebrazione del matrimonio ha comportato, oltre chiaramente alla chiusura della villa e di gran parte del suo parco, l’esproprio dei posti auto nelle vie adiacenti, ad esempio in via Cantoni e nella piazzetta Marinai d’Italia. Nei giorni 25 e 26 giugno, quando si è tenuto il matrimonio, tutto lo spazio a ridosso della villa era completamente off-limits.

Anche le attività commerciali del Lido vicino alla Villa hanno subito delle perdite economiche consistenti dovute al mancato flusso di persone che affollano abitualmente la zona. Ciò che resta sono tristi file di transenne che nascondono un luogo colorato e vivace come Villa Olmo.

Intorno a questa vicenda si è creato un dibattito politico che ha coinvolto anche le elezioni amministrative: in un articolo del 4 giugno, otto giorni prima delle elezioni, praticamente tutti i candidati si sono detti indignati per un affitto di così lungo periodo ad un privato, ritenendo accettabili solo affitti brevi o per attività che portino vantaggi alla collettività. C’è chi ha scelto condanne verbali, come Alessandro Rapinese che diverrà sindaco qualche settimana più tardi, e chi ha organizzato presidi di protesta, come la lista civica Como Comune che ha esposto un cartellone con la scritta “Villa Olmo non si vende” nei pressi di via Cantoni. E, seppur fosse ormai impossibile evitare la chiusura – solo oggi, 5 luglio, la villa verrà restituita alla cittadinanza, come da accordi -, la campagna elettorale si è conclusa negativamente per la parte politica che aveva deliberato l’affitto mensile: per la prima volta nella storia di Como, il centrodestra non è arrivato neppure al ballottaggio. La tendenza a mercificare il patrimonio culturale per renderlo location di eventi privati d’élite non è certo nuova, e si inserisce in una visione più generale del Patrimonio come strumento di profitto e di autorappresentazione del potere. Gli esempi sono tanti, a partire dal progetto, supportato dal ministro Franceschini, di spostare la Biblioteca Nazionale di Napoli da Palazzo Reale a una sede meno adeguata, per fare spazio a eventi, congressi, celebrazioni private. O ancora oggi, 5 luglio, chiude a Siracusa per una settimana il Castello Maniace, per un evento privato come tanti altri se ne sono registrati in questi anni.

Ma quando queste decisioni, prese in palazzi chiusi, entrano nel dibattito pubblico, diventano indifendibili, e infatti, Como l’ha dimostrato, nessuno le difende. Quanto si può sacrificare i cittadini per soddisfare privati con le manie di grandezza? E più in generale, quando, a che prezzo e a che condizioni, è giusto “vendere” un bene pubblico? Quanto è avvenuto a Como dimostra che, in termini realistici, basta avere i soldi e tutto si può comprare. Ma chi non ha i soldi a volte riesce a prendere la consapevolezza di essere derubato di qualcosa. Ci auguriamo che, a Como come altrove, gli amministratori abbiano la decenza di evitare furti simili alla cittadinanza. 


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