Lo scorso ottobre è stato rinnovato l’affidamento dei servizi museali integrati per il circuito Prato Musei, confermando la Società Cooperativa Culture per altri tre anni in qualità di capofila ATI (associazione temporanea d’impresa). Si realizzano purtroppo le fosche previsioni e i tagli che denunciavamo già lo scorso 5 agosto, dietro segnalazione dei lavoratori.

Rispetto alla gara d’appalto del 2019 si è verificato un ribasso del 20%, andando a colpire in particolare il museo del Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, mentre il Museo dell’Opera del duomo è fuoriuscito dall’appalto. “Per dare un’idea di cosa significa un taglio di questo tipo per un luogo come il Centro Pecci” – spiegano lavoratrici e lavoratori museali, che per propria salvaguardia chiedono di rimanere anonimi – “basti pensare ai 3000 m2 di spazio espositivo presente nella struttura, con una capienza massima di 400 persone che necessiterebbe di una squadra di emergenza composta da 5 operatori (tutti addetti anti-incendio), invece è richiesta per la maggior parte del tempo la presenza di 3 soli operatori. Non si tratta di un mero taglio di personale, ma di una chiara violazione delle normative di sicurezza”. La questione paradossale è che proprio quei servizi tagliati in fase di aggiudicazione, sono stati richiesti successivamente in aggiunta, “ci sentiamo presi in giro: prima tagliano ore e personale e poi richiedono personale aggiuntivo fuori dal bando? Si preferisce creare posti di lavoro precari, instabili e poveri. Ancora una volta è evidente che non c’è rispetto per i lavoratori e per le loro vite”.

Se i servizi sono usa e getta anche il personale lo diventa: gestito a chiamata, con part-time involontari, senza stabilizzazione dei lavoratori a tempo determinato. Le garanzie a sostegno del personale che Mi Riconosci  chiedeva nello scorso appello sono cadute nel vuoto, determinando condizioni di lavoro sfiancanti e ingiuste: “Ho avuto tre contratti a chiamata in 7 mesi, ricevevo i turni due settimane prima, ma spesso anche il giorno prima. Le chiamate sono sempre discontinue e non mi hanno mai permesso di avere una stabilità economica. Nessuno mi ha detto niente prima della scadenza del bando, non mi hanno fatto sapere neanche se ci sarebbero state prospettive future”.

Il contratto Federculture resta un miraggio, le Fondazioni operano secondo logiche utilitaristiche, i singoli vengono lasciati da soli in questo mare di precarietà. È inaccettabile che il Comune di Prato continui a ignorare lavoratori, lavoratrici, sigle sindacali e associazioni che chiedono un miglioramento e una stabilizzazione per chi opera nella cultura.

Le attiviste e gli attivisti di Mi Riconosci si rivolgono nuovamente al sindaco Matteo Biffoni e all’assessore alla cultura Simone Mangani, chiedendo con forza un intervento del Comune per la salvaguardia delle persone a cui è affidata la fruizione del patrimonio culturale della città. Per quanto ancora potrete ignorare le nostre voci?


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