Ministero del Turismo, una strada lastricata di ostacoli_

Ecco tutti i principali ostacoli che il rinato Ministero del Turismo dovrà affrontare per poter funzionare davvero  e perché molte idee non rimangano buone intenzioni

Il nuovo governo Draghi, ormai è noto, avrà un dicastero indipendente per le politiche in materia turistica con a capo il ministro Garavaglia. Un ministero che rinasce dopo essere stato cancellato nel 1993 attraverso un referendum abrogativo, e la cui competenza da allora di governo in governo viene spostata, fino ad accasarsi nel 2013 al Ministero dei beni e delle attività culturali, dove è rimasto fino al 2021, tranne per una breve parentesi sotto il governo Lega-M5S.

Una novità che ha diviso l’opinione pubblica, salutata da molti operatori del turismo come una conquista, con l’eccezione però di chi auspica, invece, un completo cambio di rotta verso una maggiore sostenibilità del sistema turistico italiano. È, infatti, forte il sospetto che questo dicastero nasca solo per gestire i fondi del Recovery Plan e non per riformare alcunché. Sostenere a livello emergenziale i lavoratori e le imprese del settore, di concerto con il Ministero della Cultura, è importante ma insufficiente dove manca da decenni la mano dello Stato. Dove manca da decenni una forte governance pubblica che si rivolga al bene di tutti i cittadini e delle comunità piuttosto che del mercato.

Ma il quadro del turismo è ancora più complesso. A prescindere dalla pandemia globale ancora in corso, anche si volessero operare delle riforme, utili o inutili che siano, Garavaglia dovrà fare i conti con lo status quo. Restano, infatti, per il nuovo ministero moltissimi ostacoli da superare prima di poter iniziare i lavori.

Ecco allora i cinque principali ostacoli da noi individuati con cui Ministero del turismo e Governo dovranno fare i conti, e che forse ignorano.

1. Il ruolo delle regioni

Di turismo innanzitutto si occupano le regioni e non lo Stato, in seguito ad una pesante azione di deregolamentazione portata dalla riforma costituzionale del titolo V del 2001, in cui la competenza veniva implicitamente lasciata alle singole regioni. Una legge che ha permesso in questi anni particolari aberrazioni pubblicitarie, la competizione sfrenata tra queste nelle vetrine e nelle fiere internazionali e l’assenza assoluta di un preciso indirizzo statale, a cui è stato possibile in determinate occasioni soltanto dare dei limiti su altri settori affini: appalti, professioni, tutela e gestione del patrimonio culturale e ambientale, ecc. L’ultimo tentativo di riformare seriamente il settore risale, invece, al lontano 2011, quando parte del cosiddetto Codice del turismo (Dlgs. 79/2011) fu dichiarata incostituzionale.

Per porvi rimedio sappiamo che il Ministro si è riproposto di stilare un protocollo d’intesa con le regioni. Operazione probabilmente troppo timida affinché davvero il futuro possa riservare spazio a politiche di settore indirizzate alla sostenibilità e per una pianificazione inclusiva con le parti sociali. Operazione che non potrà che essere l’unghia di una riforma costituzionale necessaria.

2. Una promozione divisa e inefficiente

Per questo e varie altre ragioni nel 2021 ancora non esiste in alcun modo una valorizzazione organica delle specificità dell’offerta turistico-culturale italiana in tutta la sua varietà e ricchezza. Manca un “brand Italia” da promuovere che non si è mai davvero realizzato, neppure nel senso più strettamente economicistico. Al suo contrario sono nati e falliti diversi portali inutili nel tempo come Italia.it, Verybello e ora ItsArt, o progetti che dovevano lanciare l’Italia nel mondo ma che inevitabilmente sono rimasti grandi opere: capitali europee e italiane della cultura, del libro e via dicendo, o candidature e riconoscimenti UNESCO per far girare denaro in singole aree circoscritte, senza alcuna visione d’insieme o prospettive a lungo termine. É, inoltre, importante sottolineare come manchi anche l’intera struttura comunicativa che possa eventualmente promuovere il Paese nella sua interezza.

3. L’assenza di organi, professionisti ed esperienza

La cronica carenza di professionisti nel passato MiBACT non è un mistero e il nuovo ministero non sembra propendere per assunzioni di massa. Secondo la legge sul riordino dei ministeri, che ne sancisce la nascita, sarà dotato di ben 30 dirigenti e solo 107 assunti con grado non dirigenziale, che peraltro dovranno superare un concorso. Il definanziamento delle politiche di settore, l’uso indiscriminato di esternalizzazioni e aziende in-house, la mancanza di regole e tutele per i professionisti, l’assenza di concorsi, le carenze di organico del precedente MiBACT e la marginalizzazione degli enti dedicati, come l’Enit – Agenzia nazionale del turismo oggi non costituiscono un’eredità pronta a lavorare. Costituiscono l’esatto opposto. Anche secondo l’organizzazione mondiale del turismo (UNWTO) il mercato del lavoro e la carenza di professionalità sono uno dei gap maggiori dell’Italia rispetto agli altri Paesi europei.  Ci si chiede quindi, anche una volta confermato il portafoglio del nuovo ministero, quanto impegno servirà per avviarne il lavoro. Un lavoro che, indipendentemente dalla direzione politica, oggi nessuno o quasi fa e quindi si teme che nessuno sia in grado di fare nemmeno nel prossimo futuro.

4. La necessaria lotta contro l’overtourism

L’unica certezza del settore è che il mercato, libero da tempo di agire, abbia governato finora il comparto sguazzando nell’assenza di regole. Specialmente per quanto riguarda il lavoro e il territorio. Generando così un consumo che è diventato nel corso del tempo l’odiato turismo di massa, o overtourism, a cui, dopo quest’anno di stop dovuto alla pandemia, tante comunità con forza si rifiutano di tornare. Il Ministero dovrebbe, ora più che mai, voler prendere il posto del mercato nella guida del turismo e, invece, le primissime dichiarazioni di Garavaglia indicano chiaramente il contrario sottolineando che “il mercato supererà la politica.

5. La storiella del turismo petrolio d’Italia

Il turismo rappresenta sicuramente uno dei settori produttivi più sostanziosi per il nostro Paese (13% del PIL), fondato però molto sul consumo di massa di alcune principali attrazioni turistiche nazionali come Venezia o Pompei e pochissimo sul resto: nel 2019, ad esempio, il 50% dei visitatori si concentrava nell’1% dei 4 mila e oltre musei italiane.

La narrazione continua e persistente che il turismo sia il vero petrolio d’Italia, talvolta associato, affiancato o volutamente confuso con la cultura, ha però, nel tempo, convinto moltissimi cittadini e amministratori locali ad investirvi, se non ad asservirvisi. Ha creato la convinzione che il turismo fosse automaticamente una soluzione a tutti i problemi. Ha spronato ad investire nella valorizzazione del patrimonio e nei prodotti locali, nel folklore, nei borghi proprio per creare indotto turistico e auspicabilmente ricchezza, lavoro e benessere.

Un inganno ben congegnato, condotto contro i cittadini, a cui nessun governo ha mai detto quanto gli sforzi locali potessero essere inutili senza una forte governance nazionale. A cui nessun governo ha mai indicato di valorizzare il patrimonio culturale e ambientale innanzitutto per se stessi, rivendicando il proprio diritto a goderne. Cittadini che spesso ignorano quale dovrebbe essere il ruolo della cultura e quale quello del turismo in una società sostenibile. Una narrazione volutamente creata affinché molti non si rendessero conto di quanto fossero necessarie riforme nel settore.

Questo quadro ha creato aspettative a cui apparentemente però nemmeno le regioni hanno saputo rispondere, spesso mal coordinando la costruzione di un’offerta turistica destagionalizzata e delocalizzata. Un importante ostacolo al funzionamento di un Ministero che non parta con l’intenzione di contrastare l’overtourism, la massificazione dei flussi e la mercificazione del patrimonio. Una serie di aspettative trascinate nel tempo e sostenute da centinaia di migliaia di iniziative locali che aspettano di trovare riscontro nella linea del nuovo Ministro e che rischiano di essere soltanto occasioni sprecate.

Servirebbe invece un’azione omogenea, improntata a destagionalizzare e deconcentrare i flussi dai principali circuiti turistici, a intaccare lobby e interessi, a beneficio dell’intero territorio nazionale. Riguardando il quadro delineato non resta che augurare al Ministro e al nuovo Ministero buon lavoro. Ma tanto, se davvero il Ministro desidera che “il mercato superi la politica”, non avrà molto da lavorare perché ciò accada. Dovrà solo stare fermo. E questo sarebbe l’errore più grosso e imperdonabile, in un momento di crisi strutturale: una ulteriore deregolamentazione in favore del mercato.


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