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Tutti ne parlano, in pochi ne sanno davvero qualcosa.

Per chi come noi cerca di fare attivismo e informazione nel settore culturale, è normale imbattersi in comunicati stampa roboanti che parlano di “più turisti”, “calo del turismo”, “boom turistico”, senza poi giustificare l’affermazione con dati degni di tal nome. Un problema che colpisce tutti, dai Ministri ai giornalisti di piccole testate. Il turismo viene considerato una salvezza, una manna dal cielo, un feticcio da sventolare a fini propagandistici, o all’opposto un disastro per le città che sono costrette a subirlo senza regolamentazione.

C’è del vero, in ognuna di queste narrazioni, ma mancano spesso gli strumenti, anzitutto linguistici e statistici, per dibattere il fenomeno in senso ampio. Anzi, spesso, ad alti livelli, i termini sono volutamente strumentalizzati.

Abbiamo deciso di affrontare il fenomeno da vicino, a tutto tondo. E per farlo, iniziamo con un articolo che introduca i concetti base, spesso ben poco noti ai non addetti ai lavori (turistici).

Cos’è il turismo?

Il turismo è un’industria legata alla produzione e scambio di attività e servizi e combinazioni di questi, relative a viaggi e soggiorni compiuti a scopo ricreativo, di cura, di lavoro, d’istruzione, etc., che prevedano un andamento ciclico da un punto di partenza ad una destinazione e viceversa, al di fuori del proprio ambiente abituale. Si fa risalire la sua nascita alla vendita del primo pacchetto turistico ad opera di Thomas Cook nel 1841 in Inghilterra. 

Da notare che non vi sia una definizione univoca ma che generalmente si faccia riferimento al regolamento europeo del 2011.

Tra i servizi esiste però una gerarchia che fa sì che i servizi detti Ho.Re.Ca. – Hotel Restaurant and Catering – e i trasporti siano considerati principali: su questi si basa il grosso dell’indotto turistico in un determinato luogo.

Ma cos’è un turista?

Secondo la definizione dell’OMT – Organizzazione mondiale del turismo,si considera turista (“visitor” in inglese) qualsiasi individuo che si sposti verso una località che non frequenta abitualmente e in cui non sia residente, per qualsiasi motivo, e vi pernotti almeno una notte e massimo un anno. Se uno studente fuori sede rinnovasse il suo contratto d’affitto ogni settembre, con scadenza ogni agosto successivo, sarebbe perennemente un turista.

Quindi tutti, con la sola esclusione di militari, diplomatici e rifugiati.

Chi compie uno spostamento senza pernottare fuori si dice in gergo: escursionista.

Si fanno differenze tra turisti e turisti nelle statistiche?

Sulla carta no. Che tu vada al mare in Sicilia, a vedere il Palazzo Ducale di Venezia, a sentire il Papa a Roma, alla convention della tua azienda a Bergamo o a giocare una partita di calcio a Isernia o per l’Erasmus ad Oslo, pernottando fuori diverrai un turista.

Per la concezione attuale di turista non c’è nessuna differenza tra tutti questi, i conti che sentiamo nei giornali sul turismo si faranno in base agli arrivi e alle presenze (vedi glossario) nelle varie località: quanti passano a dormire di lì e quante notti sono state occupate, non da ciascuno, ma complessivamente. Anche se poi sul mercato l’industria del turismo si segmenta in decine di aree – culturale, naturalistico, religioso, balneare, del benessere, congressuale, esperienziale, enogastronomico… – tutto viene poi assimilato senza alcuna distinzione. Magari 1000 persone dormono ciascuna una notte e i dati di presenze e arrivi coincidono, magari 500 persone dormono in media 2 notti e abbiamo 500 arrivi e 1000 presenze.

Termini che spesso leggiamo in comunicati stampa come “il numero di visitatori”, “i turisti” molto spesso mescolano in buona o in mala fede i numeri di arrivi e presenze creando dati o inutili o, peggio, fuorvianti.

Come sono raccolti quindi i dati sul turismo?

Ogni regione ha un ente predisposto “l’Azienda di promozione turistica” che collabora con altri enti sul territorio quali province, comuni, associazioni di albergatori e talvolta privati. Questi tengono così conto dei dati provenienti dal pernottare degli ospiti, analizzandone dati personali quali: la provenienza geografica, l’età, il reddito (in base ai servizi acquistati) e poi a piacere qualunque altro che possa sembrare rilevante. Qualche volta si cerca di capire quale sia il motivo del viaggio, altre proprio no. Poi c’è l’ISTAT, che raccoglie i dati e pubblica ogni anno un rapporto con il quale offre tanti dati, ma non essendo un istituto specializzato questi dati finiscono per essere spesso poco utili e ancor meno interpretabili al fine di pianificare nuovi investimenti nei vari segmenti del mercato turistico. Basta guardare l’ultimo rapporto pubblicato, riferito al 2018 per rendersi conto che spesso i dati che servirebbero a volte semplicemente non esistano.

Ma come facciamo a capire dalle statistiche, dunque, quali investimenti sviluppino un indotto turistico?

Fondamentalmente non si può, o quantomeno nessun investimento è correlabile ai successivi dati sul turismo. Anche se per esempio un famoso museo dovesse, conteggiando i propri visitatori, trovare un incremento del 30%, a meno che non tenga conto della provenienza di questi e del loro effettivo aver pernottato o meno in città, tolti i residenti, avremmo un dato spurio che possiamo interpretare probabilisticamente, ma non correlare con certezza agli arrivi turistici. Magari un grande evento musicale porta in città migliaia di persone che poi si fermino per la notte, ma non sapendo quanti effettivamente l’abbiano fatto si possono soltanto quindi contare i biglietti venduti.

Non avendo una correlazione diretta è questo quindi un criterio sufficiente? Ovviamente no.

Com’è regolamentato tutto questo?

Dalla riforma del 2001 del titolo V della Costituzione, con una scelta mai del tutto chiarita, ogni regione ha completa indipendenza legislativa e organizzativa sul turismo. Abbiamo perciò almeno 20 differenti leggi regionali (alcune regioni hanno delegato alle province), spesso incomplete, in contrasto tra loro, vecchie o inosservate e una rete assolutamente disomogenea di enti che studiano e analizzano i flussi turistici al livello nazionale. Il Ministero del Turismo non esiste e viene da sempre palleggiato tra diversi Ministeri più grandi come il MiBAC, oggi con la T di turismo, o il MiPAAF – Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, ieri MiPAAFT, con la T. Oggi un organo attivo, ma bloccato dalla competenza regionale, è l’ENIT – Agenzia Nazionale del Turismo e il suo osservatorio O.N.T., con il compito di promuovere l’immagine dell’offerta turistica all’estero e di monitorare le dinamiche socio-economiche del turismo.

L’ultima volta che si è provato a mettere ordine con il cosiddetto Codice del turismo D. Lgs 79/2011, gran parte degli articoli furono dichiarati incostituzionali e così resi inutilizzabi

Chi lavora quindi nel turismo?

Tante sono le figure coinvolte in questa industria ed è incredibile quanti ne siano consapevoli rispetto al totale. Ovviamente Guide turistiche, G.A.E. – Guide ambientali escursionistiche, e accompagnatori turistici, dipendenti di tutti i già citati Ho.Re.Ca., delle compagnie di trasporto, degli enti locali che si occupano di turismo, degli impianti sciistici, dei tour operator, delle agenzie di viaggi e poi di tutte le attività legate ai flussi nelle località turistiche, dall’ufficio postale al museo. Delle professioni turistiche per eccellenza – guide turistiche, accompagnatori turistici e guide ambientali escursionistiche – si dovrebbe occupare il Ministero del Lavoro, ma a causa di un vuoto politico finiscono per farlo le regioni, che hanno creato negli anni campanilismi e una strabiliante differenza di regolamentazione.

Ma quanti soldi girano con il Turismo alla fine?

Tanti, tanti, tanti… Dai dati 2018 incide per il 13,2% del PIL italiano, pari a 232,2 miliardi di euro, con 3,5 milioni di occupati, cioè il 14,9% dei lavoratori italiani.

Dal 2000 ad oggi i flussi turistici internazionali, nel Mondo, sono cresciuti di oltre il 60% ed è una percentuale che cresce in media di circa il 3% all’anno, con 1,5 miliardi di arrivi internazionali nel 2019, nonostante la crisi economica globale del 2009. L’Italia, nonostante sia il Paese con più attrattiva nell’immaginario turistico mondiale, era il terzo Paese con più presenze in Europa nel 2017, dietro Regno Unito e Spagna, e probabilmente risulterà il quarto nel 2019, facendosi sorpassare anche da Francia e Germania, senza contare Regno Unito e Stati Uniti.

Il tema in effetti ci interessa soprattutto perché è un settore in cui c’è lavoro e sempre più colleghi dell’ambito culturale trovano uno sbocco lavorativo valido e sostenibile.

Cosa c’entra il turismo quindi con il patrimonio culturale?

Apparentemente nulla, se non fosse che spesso turista e cittadino coincidano. L’Italia in particolare è famosa come destinazione per le sue attrattive culturali ed enogastronomiche e se nella nostra visione e idea di Paese il patrimonio culturale è al servizio della comunità, dovremmo interrogarci su quanti cittadini italiani, divenendo di volta in volta anche turisti ne possano trarre giovamento. Gli stessi professionisti del turismo, come guide turistiche e G.A.E. hanno in sé un ruolo culturale, non di solo intrattenimento ma, quando svolto bene, anche di educazione, studio e promozione del territorio.  Chi viaggia dall’Italia per l’Italia rientra in un segmento che viene definito domestico, che è quello che interessa i turisti italiani direttamente in quanto contemporaneamente anche cittadini italiani. Parlando quindi di turismo culturale, è proprio questo il segmento in cui si dovrebbero fare i maggiori investimenti, perché indirizzato a soggetti nella doppia veste di turisti e cittadini alla scoperta del proprio Paese. A dirla tutta poi, nel 2020, dovremmo ormai considerarci addirittura cittadini europei più che solo italiani, interrogandoci su quanto possa essere cittadino italiano anche un belga in visita a Roma e un italiano in visita a Lisbona. 

Se si volessero davvero valutare i numeri di un turismo culturale, dunque, il turismo domestico sarebbe il settore che peserebbe di più. Ma questi dati ad oggi non sono disponibili.

In statistica esiste un paradosso detto di Simpson che fa sì che ogni volta che si raccolgono dei dati, indipendentemente dal metodo, questi possano essere interpretati in modi anche diametralmente opposti a seconda di come vengano raggruppati: è quindi importante avere sempre un atteggiamento critico nei confronti di questi, conoscendo la fonte, le variabili considerate e non fermandosi alla semplice lettura ufficiale perché potrebbe essere insufficiente.

In particolare, parlando di turismo culturale, come avrete capito, non abbiamo ad oggi modo di stimare gli effetti, positivi o negativi che siano, degli investimenti (scarsi) fatti dai governi, dalle amministrazioni locali e dai singoli enti.

Per questo serve riformare il sistema, di modo che nessun roboante risultato proferito da qualche dirigente sia più soltanto propaganda spicciola.

Glossario

Turista: chiunque viaggi al di fuori del proprio ambiente abituale, per qualsiasi motivo, pernottando da almeno una notte a non più di un anno.

Escursionista: chiunque viaggi al di fuori del proprio ambiente abituale, compiendo trasferimenti giornalieri, senza alcun pernottamento.

Visitatore: chi visita località, zone, complessi o edifici di interesse artistico o storico, musei e gallerie, mostre ed esposizioni, senza alcuna distinzione di provenienza, di residenza o di pernotto.

Arrivi: numero di clienti che hanno effettuato il check in negli esercizi ricettivi nel periodo di riferimento. 

Presenze: numero delle notti trascorse dai clienti negli esercizi ricettivi nel periodo di riferimento. 

Ho.Re.Ca.: servizi di Hotels, restaurants and catering.

Turismo Domestico: Il turismo degli italiani in Italia.

G.A.E.: Guida ambientale escursionistica.

Fonti
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