Dirige Patrimonio Culturale Italiano

I gruppi che hanno governato il Patrimonio culturale italiano negli ultimi decenni chiedono ingenti aiuti statali, senza proposte né autocritica. 

In queste settimane è un accavallarsi di proposte ed idee per “salvare la Cultura”, “far ripartire il Turismo”, “non fermarsi” e via discorrendo. In un momento di crisi simile è normale. Anche noi, con modi e tempi adeguati, faremo la nostra.

Abbiamo già analizzato le richieste e le proposte che arrivano da un gruppo che fa capo agli enti locali e agli assessori alla Cultura, apprezzandone la carica innovativa e la lungimiranza. In queste righe vogliono concentrarsi sull’analisi di altre proposte in campo. 

In particolare ci concentreremo su un macrofilone di proposte e richieste che arriva da quel mondo, che va dai direttori dei Musei autonomi, ai presidenti delle Fondazioni, delle imprese e delle cooperative che gestiscono patrimonio pubblico e relativi servizi, a determinate aree del mondo accademico e del giornalismo: persone e enti che negli ultimi decenni hanno sostenuto con forza una “americanizzazione” del modello italiano di gestione del Patrimonio culturale, da una parte, e dall’altra hanno goduto dei benefici delle riforme ministeriali e legislative dal 1993 a oggi.

Analizziamo queste proposte tutte insieme perché, pur presentate in comunicati stampa e spazi diversi (ad esempio qui, qui o qui), si assomigliano tutte, divenendo quasi sovrapponibili. Tutte chiedono un importante aiuto statale: in una fase simile un atto ovvio e dovuto, se si vuole evitare un collasso economico e sociale difficile da contenere. Ma lo chiedono per poter tornare a fare ciò che si faceva prima, esattamente come prima, o anche meglio di prima solo per quanto riguarda la tutela del diritto di impresa: tutte mancano di qualsivoglia analisi critica o autocritica. 

Vediamo in breve cosa si propone come formula per uscire dall’emergenza:

  • Fondi straordinari e credito illimitato garantito dallo Stato.All’unanimità questo mondo richiede l’istituzione di un Fondo straordinario pensato non per la cultura ma per le imprese della cultura, fondo che consenta di ottenere liquidità dalle banche garantita dallo Stato. Per chi non è ferrato in economia, significa che se il privato che ha ottenuto la liquidità non sarà in grado di restituire il prestito, la banca potrà rivalersi sullo Stato che ha garantito. 
  • Sgravi fiscali. Si chiede in particolare un maggiore credito d’imposta e l’esonero dal pagare contributi previdenziali. Quindi di pagare allo Stato meno tasse.
  • Utilizzo di immobili pubblici. Anche qui vediamo una forte spinta a chiedere di poter utilizzare aree e immobili pubblici per fare attività imprenditoriale privata, ad esempio con la creazione delle “zone franche della Cultura”, per rimettere in sesto zone dismesse: una misura che, se fosse aperta a qualsiasi investimento “culturale” privato, potrebbe creare situazioni di speculazione già registrare in diverse città italiane.
  • Convenzioni con lo Stato senza ragione apparente. L’esternalizzazione di tutti i servizi di musei, archivi e biblioteche senza vincoli adeguati dovrebbe aver insegnato che lo Stato deve appaltare un servizio a un privato solo quando è molto utile, e a determinate condizioni. Ma le richieste che arrivano da quel mondo non parlano di revisione: chiedono invece di istituire convenzioni tra Musei e imprese private per fare cose, come i servizi culturali online, che i Musei potrebbero serenamente condurre facendo bandi per professionisti (o assumendo) e non convenzioni con imprese.

  • Donazioni dei privati cittadini alle imprese private e non al Patrimonio culturale italiano. Di tutti i filoni di richieste questo è quello forse più grottesco, dato il momento di profonda crisi che sta attraversando la società. Si chiede da più parti allo Stato di permettere ai cittadini comuni di donare alle imprese culturali: chiaramente non in modo esplicito, ma con forme come un “Fondo nazionale per la Cultura” o la rinuncia al rimborso dei biglietti per mostre, teatri, musei. Lo Stato quindi, invece di raccogliere fondi per poi redistribuirli e usarli come meglio crede nell’interesse collettivo, dovrebbe spingere i cittadini a donare ad altri.

Si tratta di fatto, per intero, di aiuti statali, aiuti statali anche molto molto forti, nel segno del “dammi e lasciami fare”. Come già detto, aiuti statali sono indispensabili per superare la crisi, certo. Però stupisce enormemente che in una fase così complessa chi ha avuto molto e ha deciso molto continui a chiedere allo Stato di favorire e aiutare le imprese private senza dare nulla in cambio. Nessuna delle proposte tiene in minima considerazione il fatto che ci siano centinaia di migliaia di persone che da settimane non percepiscono alcuno stipendio: anche quando i comunicati stampa accennano alla tutela del lavoro, non contengono mai impegni a riguardo.

Se l’intero sistema culturale ha dimostrato la sua profonda inadeguatezza, sembra il minimo soffermarsi su ciò che non ha funzionato e porre le basi per fare in modo che non si ripeta mai nulla di simile. Sembra anche il minimo che chi chiede aiuti statali così massicci si impegni a garantire i livelli occupazionali, ad assumere con condizioni di gran lunga migliori del passato, e fare tutti i sacrifici necessari per ricostruire il Paese più giusto di prima. Altrimenti queste richieste unilaterali rischiano di risultare poco fondate, piuttosto egoiste e per nulla lungimiranti. Sembra chiaro a tutti che non sia il momento di spendere miliardi per fare in modo che tutto resti com’era.

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