chiusura teatri e cinema

Una riflessione a caldo sul DPCM del 25 ottobre 2020 che chiude ingiustificatamente teatri e cinema.

Non vogliamo usare mezzi termini. Perché sarebbero inappropriati. Lo avevamo scritto ieri sera, quando era stata diffusa la bozza del DPCM: “chiudere in modo generalizzato i luoghi della cultura non solo creerebbe grossi danni economici e sociali, ma, stando ai dati disponibili, appare anche irrilevante dal punto di vista sanitario”. 

Avevamo anche scritto “contiamo si agisca con criterio”. Non è stato fatto. Il DPCM non solo chiude ogni cinema, teatro o sala concerti d’Italia, senza distinzioni. Ma arriva a vietare anche qualsiasi tipo di “spettacolo aperto al pubblico”, al chiuso e all’aperto, sia che il pubblico sia in piedi sia che sia seduto, senza distinzioni.

Si tratta di un provvedimento sconclusionato, che tiene aperti luoghi in cui distanziamento e modalità di fruizione sono simili, come le Chiese, e che va contro ogni evidenza scientifica: da marzo a ottobre, i luoghi dello spettacolo dal vivo hanno contato un solo contagio tra gli spettatori. Il che è facilmente spiegato: si resta seduti, a distanza, sempre con la mascherina, senza contatto, con accessi contingentati e lasciando i dati all’ingresso nel caso (improbabile) di contagio. 

Sembra un provvedimento simile a quelli di fine febbraio, quando i luoghi della cultura furono i primi a chiudere, in fretta e furia. Ma al tempo si era di fronte a uno scenario emergenziale, totalmente imprevisto. Ora no, ora ci sono i dati, ora abbiamo vissuto per mesi in questa situazione ed è chiaro ed evidente che i luoghi della cultura hanno rispettato pedissequamente ogni regola fino ad arrivare a una sicurezza pressoché totale. Spendendo migliaia di euro per adeguarsi ai protocolli, per non parlare delle ore consumate dai lavoratori del settore per inventarsi qualcosa.

Quindi perché sono stati chiusi? O meglio, perché è stato vietato qualsiasi genere di spettacolo dal vivo, anche quelli che non creano nessun assembramento, anche con ingressi contingentati e distanziati?

L’unica spiegazione che riusciamo a darci è che sia stato fatto per pura propaganda. Per fare numero. L’opinione pubblica ha chiarissima la necessità di prendere provvedimenti urgenti. Ma il Governo, che pur ha perso tempo per quanto riguarda tracciamento, tamponi, assunzioni nella sanità, adeguamento dei mezzi pubblici, ora si trova di fronte un blocco di poteri economico-politici che rifiuta di adeguare le loro aziende alla situazione: insomma, di perdere parte degli utili per adeguarsi allo smart-working o alla radicale trasformazione degli spazi. O di perdere la stagione turistica. L’opinione pubblica non accetterebbe un nuovo lockdown generalizzato, far rispettare le regole a determinate categorie sarebbe troppo difficile e quindi… qualcosa bisogna chiudere. Ed ecco i teatri, i cinema, le palestre, categorie storicamente deboli dal punto di vista del peso politico. Categorie che avevano ridotto introiti e investito per adeguarsi alle misure che lo stesso Governo aveva imposto. Calpestate. Per pura propaganda.

Non è accettabile in uno Stato civile. E la situazione non è in nessun modo paragonabile a quella di marzo: il tempo per organizzarsi c’è stato. Non potete chiedere a teatri e cinema di pagare la vostra inadeguatezza. Lo diciamo noi, lo stanno dicendo un po’ tutti, dagli assessori alla cultura ai direttori d’orchestra

Noi, come uomini e donne che hanno a cuore il futuro di questo Paese, non abbiamo intenzione di stare zitti. 


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