In diverse regioni d’Italia l’emergenza coronavirus che ha portato a chiudere tutti i luoghi culturali, come circoli e biblioteche, non ha toccato spazi come palestre o bar.

Nelle prime ore dell’emergenza, tra il pomeriggio di sabato e la sera di domenica, sembrava che per fermare la diffusione del nuovo coronavirus fosse necessario bloccare qualsiasi luogo di aggregazione: da eventi sportivi che radunano decine di migliaia di persone in un solo luogo a musei frequentati da 25 visitatori al giorno. Tutti.

Subito ci si è chiesto: ma è proprio necessario bloccare scuole e musei a centinaia di chilometri di distanza dai focolai e dai malati? Però nel dubbio sì, è necessario. Nonostante in Friuli-Venezia Giulia, che conta in questo momento meno contagi da coronavirus dell’intera Francia, sia tutto chiuso, mentre in Francia no. Poi sono passate le ore, e ci si è resi conto che le ordinanze variavano da regione a regione, così come le loro interpretazioni: le più restrittive in Lombardia, con la chiusura anche dei bar alle 18, le meno restrittive in Trentino-Alto Adige, dove musei e biblioteche sono aperte, e poi interpretazioni varie in Emilia-Romagna, dove a Bologna le biblioteche sono aperte con casi di dipendenti comunali che si rifiutano di avere contatti con il pubblico. Passano le ore e le nebbie si dirimono, con l’Organizzazione Mondiale della Sanità che ridimensiona l’emergenza e indica strategie più coordinate ed efficaci. E non resta che sperare che questa chiusura repentina di qualsiasi attività, che ha portato migliaia di studenti ed insegnanti a spostarsi dalle regioni del Nord Italia per passare qualche giorno in famiglia, sia stata la misura più efficace possibile.

Passano le ore e più le nebbie si dirimono , più noi professionisti della Cultura ci ritroviamo a farci delle domande. Non solo su cosa ne sarà di noi, dato il crollo del settore che si prospetta, ma su cosa siamo per la società. Leggiamo le ordinanze di Veneto e Piemonte che sì, tengono aperti i centri commerciali, ma chiariscono anche che le palestre e i centri sportivi possono aprire: una linea seguita anche dalla durissima ordinanza della Regione Marche di ieri sera, che vieta l’apertura di “musei, biblioteche e altri luoghi della cultura”, ma non delle palestre. Anche la Lombardia poche ore fa, allegerendo la presa, ha permesso ai bar di riaprire. Il problema sono i luoghi di aggregazione, tutti, di qualsiasi genere, o il problema sono i luoghi culturali? Perchè se certo per i musei si può dire che in alcuni casi attirano turisti da lontano (a differenza delle palestre) questo non vale per le biblioteche, né per i circoli o gli spazi comunali concessi ad associazioni. E queste scelte, difficilmente  giustificabili dal punto di vista medico data l’entità dell’emergenza in quelle regioni, divengono difficilmente giustificabili anche sul piano della logica.

La conseguenza è che sta passando il messaggio: i musei sono luoghi di contagio. Le università sono luoghi di contagio. I teatri sono luoghi di contagio. Sta passando in tutta Italia, non solo nelle regioni in cui si trovano i due focolai, molto limitati, ad oggi individuati.

Siamo diventati questo? Siamo più superflui, per una società, delle palestre e dei centri commerciali? La risposta è drammatica, ma è: sì. O meglio, si crede di sì, anche se non è vero. Non c’è nessuna norma sanitaria che giustifichi tali ordinanze a doppio binario e i danni economici e sociali saranno difficilmente quantificabili, infatti da qualche ora anche il Governo sta correndo ai ripari. Si prospettano mesi difficili, ma che ci donano una rinnovata certezza: non abbiamo nessuna speranza di esistere, di veder crescere i nostri stipendi e i nostri diritti, se non riconquistiamo il ruolo centrale che il Patrimonio culturale ha per la società. Paradossalmente queste settimane drammatiche ci donano un’opportunità: quella di mostrare cosa sarebbe, cos’è, l’Italia senza la cultura e senza di noi.

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1 Comment

Maria Merlini · 27/02/2020 at 09:19

per completare il quadro, se mai ve ne fosse ancora bisogno, aggiungo questo: a fronte dell’annullamento di tutti i viaggi di istruzione di tutti gli istituti scolastici italiani (sia in Italia che all’estero) il 26 febbraio a Lyon (Francia, dove pure sono presenti casi di coronavirus) si è disputato come da programma il match Lione-Juventus: come riferiscono le colleghe Guide francesi, economicamente colpite al pari di quelle italiane dalle centinaia di disdette piovute in soli due giorni dai vari istituti scolastici italiani, per l’occasione sono giunti dall’Italia oltre tremila tifosi (la cifra sarebbe confermata da varie testate giornalistiche)

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