Manifestazione al Colosseo novembre 2022

Tiriamo le somme dell’anno appena concluso, partendo dagli eventi più significativi per noi di Mi Riconosci: i molteplici scioperi inediti in musei e biblioteche.

Se dovessimo scegliere una parola che rappresenti l’anno appena trascorso, per il patrimonio culturale italiano, sceglieremmo senza dubbio “sciopero”. Certo, il 2022 è stato pieno di eventi e novità, dal cambio di ministro ai nuovi dubbi riguardanti le copie digitali delle opere, fino ad azioni di protesta plateali nei musei da parte di attivisti ambientalisti che hanno fatto il giro del mondo. Ma ciò che riteniamo abbia segnato la novità più importante, perlomeno in Italia, è un ritorno sulla scena, forse ancora non da protagonista, ma certo con un ruolo ingombrante, dello sciopero. Non un ritorno assoluto – scioperi nel settore ce ne sono stati, più o meno isolati, in tutti gli anni precedenti – ma una netta espansione dopo una lunga stagione di condanna e ridicolizzazione dello strumento dello sciopero nei beni culturali (e non solo) che era culminata nel 2015 con il Ministro Franceschini che dichiarava la misura è colma”, e introduceva, col beneplacito di tutti i media nostrani, nuove norme per limitare gli scioperi e i diritti sindacali nel settore, peraltro non dopo uno sciopero ma dopo una semplice assemblea al Colosseo, regolarmente autorizzata. Al tempo sembrava che a nessuno interessasse perché quelle persone stavano facendo un’assemblea sindacale. Oggi, complice anche l’ulteriore deterioramento delle condizioni di lavoro nel settore seguite alla limitazione dei diritti sindacali, non è più così. E nel corso di quest’anno nessuno si è azzardato a parlare di “misura colma” anche di fronte a scioperi molto più invasivi delle due ore del Colosseo del 2015.

Quattro, per motivi diversi, sono gli scioperi che a nostro avviso hanno caratterizzato l’anno, perché particolarmente impattanti o inediti nei luoghi e nella forma. Il primo, o meglio i primi, sono quelli dei bibliotecari esternalizzati delle biblioteche civiche di Firenze, organizzatisi sotto la sigla Biblioprecari Firenze, che avevano già iniziato la mobilitazione alla fine del 2021 ma che nel corso del 2022, da febbraio in poi, hanno scioperato più volte, raccogliendo consensi importanti in città e diventando fonte di ispirazione per altri bibliotecari e per altri lavoratori in appalto del territorio. La loro vertenza, ancora in corso, per ora appare in una fase di stallo i cui esiti non sono facilmente prevedibili.

Il secondo è quello della Biblioteca Statale Isontina di Gorizia, “il primo sciopero in 200 anni di storia dell’istituto” secondo gli organizzatori. Uno sciopero davvero strano, nelle motivazioni, dato che si scioperava non per le proprie condizioni di lavoro o salariali ma per salvare l’istituto, che si sarebbe trovato a breve senza bibliotecari: i dipendenti rimasti volevano aiuto, e tutta la città con loro. 

Il terzo, decisamente anomalo nella forma ma non nei contenuti, è quello registratosi all’inizio di dicembre in alcuni musei statali della Lombardia e in particolare in Val Camonica, dove una quindicina di lavoratori in appalto, data la mancanza di comunicazione da parte del committente (la Direzione Regionale Musei Lombardia del Ministero) e la proposta di un contratto al ribasso da parte dell’azienda che aveva appena vinto l’appalto, hanno improvvisato uno sciopero, durato una settimana, rifiutando di firmare il contratto e di andare a lavoro: per ora hanno infine dovuto cedere, ma è solo un inizio, e ha inaugurato una nuova, inattesa, modalità di protesta.

Il quarto è quello dei lavoratori esternalizzati dei Musei Civici di Milano, tenutosi il 16 dicembre 2022, e che ha visto un’adesione del 100% del personale in appalto: una rarità assoluta in un settore storicamente caratterizzato da divisioni e bassa sindacalizzazione. Quello sciopero era il culmine di una faticosissima vertenza sindacale iniziata nel 2021, e che, salvo ulteriori sorprese, dovrebbe portare infine al raddoppio del salario orario per tutti questi lavoratori in appalto.

Sciopero ai musei civici di Milano, 16 dicembre 2022

Ce ne sono poi stati tanti altri: al Maschio Angioino di Napoli all’inizio di luglio uno sciopero durato giorni ha convinto il Comune a fornire personale che conoscesse le lingue; in Sicilia ha scioperato il personale Asu, che lavora nei musei regionali a rimborso spese da decenni; a Cagliari ha scioperato il personale del Consorzio Camù, che attendeva gli stipendi da mesi. E parlando di teatri hanno scioperato in dicembre il comunale di Bologna, il Maggio Fiorentino e la Scala di Milano. 

Ci sono poi state situazioni in cui non si è scioperato, ma si è ottenuto molto con vertenze sindacali diverse, come nel caso del Muse di Trento, dove una serie di presidi e comunicati stampa duri sono stati accompagnati da una vertenza che ha portato il tribunale del lavoro a riconoscere a tutti i lavoratori esternalizzati (dipendenti di Coopculture) l’indennità di appalto, cioè la differenza salariale tra il contratto Multiservizi e il contratto corretto per il settore, il Federculture. O a Firenze, dove i lavoratori dei musei civici costretti a lavorare a Natale hanno messo in imbarazzo il comune con lettere al vetriolo e aprendo agitazioni sindacali ottenendo (per ora) una maggiorazione, e poi chissà. 

Ci sono stati poi alcuni scioperi mancati, come quello dei lavoratori dei musei civici di Trieste, che lavorano a 4,5 euro l’ora e che per motivi burocratici e organizzativi, nonostante lo abbiamo deliberato in dicembre, ancora non hanno potuto scioperare. E tante proteste che, pur non sfociando in scioperi, hanno segnato una “prima volta”, come quella dei lavoratori in appalto del Colosseo che lo scorso 2 novembre sono scesi in piazza chiedendo garanzie occupazionali e il rispetto della clausola sociale inserita nel nuovo bando Consip per biglietteria e accoglienza. La lista potrebbe essere lunghissima.

Cosa abbiamo imparato da questo anno? Che le limitazioni del 2015 limitano, certo, ma non impediscono di condurre dure vertenze sindacali. E che queste funzionano, se i lavoratori e le lavoratrici mettono davanti il bene collettivo alla (supposta) conservazione del proprio posto di lavoro con salari man mano più bassi. Abbiamo lo strumento dello sciopero, abbiamo lo strumento dell’assemblea sindacale – che consente di chiudere per ore un luogo, se l’adesione è alta – abbiamo tanti strumenti giuridici che, come nel caso di Trento, possono portarci alla vittoria. Strumenti che vanno usati insieme, non divisi.

C’è uno sciopero in particolare che ci dispiace non sia ancora avvenuto, o meglio che sia avvenuto solo in parte: quello di tutto il personale del Ministero della Cultura, preannunciato a luglio dai sindacati confederali ma poi mai proclamato e confluito in un appoggio allo sciopero generale del 16 dicembre. 

Ci auguriamo che l’attesa sia breve. E facciamo un brindisi a chi credeva che bastasse una legge per far sparire gli scioperi dal settore dei beni culturali: il 2022 ha dimostrato l’esatto contrario, e buon 2023 di organizzazione e lotta.


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