I progetti MiBACT per usare i fondi del Recovery Fund sono pochi e confusi, mentre il Ministro include nella lista progetti che competono ad altri ministeri.

Sono passate ormai due settimane da quanto il 14 settembre i giornali avevano diffuso un elenco di 557 progetti presentati dal Governo per ottenere i fondi del Recovery Fund, meglio detto #NextGenerationEU. I progetti presentati dal MiBACT erano 10, per un totale di 6 miliardi di euro sui 667 totali (lo 0,9%). Il 17 settembre, poi, venivano pubblicate le linee guida del Governo sul piano #NextGenerationEU, dove “Istruzione, formazione, ricerca e cultura” figurano come uno degli ambiti di intervento: ma basta leggere il documento per notare che la “cultura” come settore economico a sé stante, compare, letteralmente, solo nel titolo del paragrafo. Mentre nell’introduzione del documento troviamo passaggi retorici come: 

“Si dovrà inoltre investire nella “bellezza” dell’Italia quel capillare intreccio di storia, arte, cultura e paesaggio, che costituisce il tessuto connettivo del Paese. A tal fine è necessario rafforzare la tutela dell’immenso patrimonio artistico, culturale e naturale e, nello stesso tempo, promuoverne la fruizione, consolidandone le potenzialità e la capacità di attrazione di flussi turistici.”

Nel concreto, anche a livello di linee guida, nulla. Solo vaghe dichiarazioni di intenti. Qualche nostro lettore si sarà stupito del nostro protratto silenzio a riguardo, ma la verità è che c’era davvero poco da commentare, se non un’assenza.

Da allora, però, non è arrivato altro, se non dichiarazioni e comunicati stampa. Quasi in risposta a questa acclarata e evidente mancanza di interesse e idee, infatti, il 24 settembre l’ufficio stampa del Ministero diffondeva un comunicato dal titolo “Recovery Fund, Franceschini: cultura e turismo centrali nelle scelte del Paese”, seguito poi da altri sempre più roboanti. Ma il contenuto è più importante del rumore. Nel comunicato ministeriale, il Ministro dettaglia così gli ambiti di intervento: “un piano per la digitalizzazione del patrimonio culturale pubblico nazionale; l’ammodernamento delle agenzie di viaggio e dei tour operator; il potenziamento dell’industria culturale, e in particolare del cinema; il potenziamento delle misure straordinarie quali il tax credit per le strutture ricettive; la prosecuzione della decontribuzione per il settore turistico; la riqualificazione del patrimonio edilizio rurale; l’estensione dei sostegni alla riqualificazione dei centri storici, a partire dal bonus facciate; la riqualificazione delle aree industriali dismesse; un piano straordinario per la messa in sicurezza antisisimica e l’efficientamento energetico dei musei statali; un grande piano per il turismo lento attraverso il recupero e il rilancio delle ferrovie storiche, delle ciclabili e dei cammini; un grande piano nazionale per il recupero dei borghi; un piano per la formazione turistica; un grande intervento infrastrutturale per l’intermodalità tra la rete portuale, aeroportuale e l’alta velocità ferroviaria; la prosecuzione dell’alta velocità nel Mezzogiorno e lungo la dorsale adriatica, con la contestuale trasformazione dell’attuale sedime ferroviario a ridosso delle spiagge in una ciclabile”.

Basta leggere la lista fatta dal Ministro, e poi confrontarla con i progetti presentati dal Ministero, per notare che buona parte dell’elenco ministeriale non ha a che fare con la cultura, mentre riguarda il turismo solo molto indirettamente: questo è il caso delle infrastrutture, che infatti competono a un altro ministero. Per questo non ci soffermeremo in questa sede a sottolineare quanto possa essere inutile e dannoso spendere 7 miliardi di euro in alta velocità quando la rete ferroviaria è dismessa e manchevole, e necessitante nuovi moderni binari: i treni ad Alta Velocità non hanno alcuna relazione con il MiBACT.

Per “riqualificare i borghi” si prevedono poi 1 miliardo e 700 milioni di euro. Cifra ingente, se confrontata con bandi ministeriali recenti. Abbiamo già avuto modo di notare però quanto sia vuota la retorica sulla valorizzazione e riqualificazione dei borghi, soprattutto se tramite ausili volti alla ristrutturazione degli immobili: i centri storici cadono a pezzi e si spopolano soprattutto per colpa di carenze strutturali e necessità di interventi assai più costosi e impellenti di un abbellimento esterno, di un’imbiancata alle pareti e una fioriera rigogliosa. Con questi miliardi si ha la possibilità di fare quel piccolo, ma non scontato, passo in avanti per indirizzare il dibattito pubblico e politico sul tema del welfare (anche abitativo) in maniera trasversale, di rimettere al centro i bisogni ed il benessere dei cittadini, che, tra le tante cose, sono anche i primi fruitori attivi dei Beni Culturali italiani: li vedono quotidianamente, li costeggiano, li vivono, li abitano.

Ma se la visione che si ha dei borghi italiani al Ministero continua a essere quella di una palla innevata piacevole da ammirare, da tirare fuori e spolverare quando è stagione, e non luoghi in cui effettivamente le vite di migliaia di persone si costruiscono e si intrecciano e che davvero potrebbero tornare a proliferare in senso sociale ed economico per il bene di chi li abita e non solo di chi li visita, allora quei quasi due miliardi possono diventare il via libera alle speculazioni di cui  i borghi spesso sono vittime. 

E poi c’è la digitalizzazione. Per la “digitalizzazione del patrimonio culturale pubblico” infatti sono previsti ben 2 miliardi e mezzo (contro, ad esempio, i 10 milioni previsti per costituire un sistema di prevenzione e monitoraggio dei rischi per i luoghi della cultura). Due miliardi e mezzo sono una cifra notevole, che fa il paio con tanti altri miliardi per la digitalizzazione che compaiono in altri progetti dei ministeri. Come nel caso della “riqualificazione” anche per questa “digitalizzazione” emerge la necessità di fare chiarezza su molti aspetti: bisogna considerare che la trasformazione digitale per il MIBACT non è un fatto nuovo. Sollecitato soprattutto dalla comunità europea, il Ministero ha pubblicato nel 2019 un Piano Triennale per la Digitalizzazione e l’Innovazione dei Musei. Lo scopo era quello di fornire un quadro di riferimento nell’adozione di soluzioni digitali, in ambito museale al fine di migliorare soprattutto i servizi offerti al pubblico. Ma queste linee guida sono rimaste teoriche e lontane dalla realtà dei musei italiani: nessun piano di assunzioni, nessuna pianificazione pratica. Il rischio concreto è che, dato che il Ministero non si è mai dotato di personale a sufficienza per digitalizzare, vengano sprecati molti soldi in ingenti esternalizzazioni, senza preparare il terreno a chè questa trasformazione attecchisca. Cosa intende nello specifico il MiBACT per “digitalizzazione“ del patrimonio culturale e paesaggistico? Come pensa di adeguare i sistemi di catalogazione e inventariazione di biblioteche, archivi, musei, gallerie in virtù della rivoluzione digitale? E i fondi previsti servono anche per catalogare e inventariare, o si pensa di soprassederne? Quali e quanti professionisti saranno assunti per rendere possibile tale cambiamento? Solo dopo aver fatto luce su questi aspetti, si potrà passare alla progettazione, ponderando gli investimenti. Ma nel documento parliamo già di due miliardi e mezzo.

Insomma, da un lato, nei progetti del Ministero dei Beni Culturali, i beni culturali stessi compaiono solo come oggetto di “riqualificazioni”, mentre sono completamente assenti le biblioteche, gli archivi e i musei (compaiono in realtà solo per quanto riguarda “l’efficientamento energetico”); dall’altro il Ministro, per “gonfiare la lista” si trova costretto ad appropriarsi di investimenti che riguardano altri ministeri e competenze. Tra i 10 progetti MiBACT, ad esempio, troviamo anche l’istallazione di una rete 5G, dobbiamo immaginare legata ai luoghi della cultura (il documento non lo specifica). E mentre per il patrimonio pubblico e per offrire migliori servizi culturali c’è poco o nulla, abbondano i fondi per i tour operator (100 milioni) o per aiutare i proprietari privati a restaurare le loro proprietà (100 milioni, più i vari bonus).

Tirando le somme, ad oggi sappiamo che le grosse cifre sarebbero investite, nelle intenzioni di Franceschini, per digitalizzare, per rifare borghi e per fare treni ad alta velocità. Tre settori che possono essere ben utili, se non fondamentali, in presenza di investimenti ponderati e oculati. Ma dalle linee guida non emerge nulla di tutto ciò, e non può non preoccupare, di fronte a quelle cifre, il rischio di speculazioni. Come non può non preoccupare l’assenza, totale o quasi totale, di settori e investimenti di cui si sente l’estremo bisogno: per una migliore occupazione, per l’inclusione culturale, per ottenere presidi culturali sui territori. Per far funzionare il sistema, che oggi non funziona. Il settore culturale è al collasso, il personale è carente, i servizi insufficienti: si abbia la decenza, perché in questo caso di decenza e non di coraggio si deve parlare, di investire almeno 7 miliardi di euro nel Patrimonio Culturale, per generare processi virtuosi che creino sviluppo e lavoro. Non possiamo accettare che, in un momento simile, lo Stato si limiti a fare beneficenza a chi ha molto e molto ha speculato in questi trent’anni. Serve serietà, analisi e proposte. E vedremo di mettere in campo tutto ciò per costringere il Ministero a prende sul serio la realtà che lo circonda.


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