Cos’è il “monumental washing”, ovvero l’uso strumentale dei nuovi monumenti? Un fenomeno da cui guardarsi, come spieghiamo in questo articolo.

Tra ottobre e novembre 2021, abbiamo condotto un’ampia indagine sui monumenti femminili, che intende essere un censimento completo di queste opere, nonché una base per riflessioni sulle dinamiche che hanno portato alla realizzazione delle stesse e sulla rappresentazione della donna nello spazio pubblico italiano. L’indagine ha dato risultati che ci sono sembrati molto significativi: uno dei più rilevanti e inattesi è che oltre la metà delle statue pubbliche è stata inaugurata dopo il 2000. Questo ci ha dato l’impressione, confermata dai fatti, che ci fosse in atto una tendenza a inaugurare monumenti diffusamente e indistintamente, non solo femminili. Nelle settimane seguenti la pubblicazione dei risultati dell’inchiesta, da diverse amministrazioni, consiglieri comunali, ministri, sono state lanciate proposte per l’erezione di nuove statue. Di fronte a questo rinnovato interesse, abbiamo deciso di parlare del rischio di monumental washing, sulla falsa riga del greenwashing e pinkwashing, espressioni ormai nell’uso. Ci siamo successivamente rese conto, però, che il concetto di monumental washing non era mai stato teorizzato, ed è per questo che lo facciamo nel breve articolo che state leggendo. 

 

Con monumental washing vogliamo definire l’operazione con la quale una committenza, sia essa pubblica o privata, commissiona o finanzia la realizzazione di opere pubbliche con intento celebrativo o simbolico al fine di promuovere messaggi sociali di cui non si fa carico con le proprie politiche, o di strumentalizzare o manipolare la memoria di un personaggio, di una categoria o di un evento, talvolta in aperta contraddizione con la realtà storica. Si tratta di un fenomeno che è sempre esistito, in qualche modo insito al concetto stesso di monumento, ma che nell’età neoliberista che stiamo vivendo assume tratti e dimensioni nuove, e diviene degno di nota e analisi, per riconoscerlo e prevenirne gli effetti.

Un caso eclatante e paradigmatico è la statua a Margherita Hack che verrà presto inaugurata a Milano. La nota scienziata non ha mai nascosto di essere socialista e anticapitalista, un dato che il Comune di Milano ha ignorato affidando la gestione del progetto alla Fondazione Deloitte, la quale fa capo a una potente società di consulenza finanziaria del mondo, che opera in aperta contraddizione ai principi in cui credeva Hack. Si tratta di un fenomeno simile a quello che nel passato ha portato, ad esempio, Giuseppe Mazzini, repubblicano e mai sostenitore del Regno d’Italia, a essere celebrato nelle nostre piazze come “il profeta della Terza Italia”, in particolare durante il periodo fascista; ma ci sono tanti altri esempi. Un’istituzione, pubblica o privata, commissiona un monumento a chi in vita era stato un proprio nemico per prendere possesso della sua memoria. Altre volte specifici aspetti di un monumento vanno di fatto a depotenziare un messaggio, a raccontare un personaggio in maniera parziale o tendenziosa. È il caso della scultura dedicata a Freak Antoni, fondatore del rock demenziale italiano nonché personalità irrequieta, anticonformista e critica verso le istituzioni. Inaugurata a Bologna nel 2018, è realizzata in marmo di Carrara, materiale certo lontanissimo dalla cultura punk e alternativa del celebrato, ma che, con un cortocircuito immotivato, è stato definito all’inaugurazione “puro marmo anarchico”.

Ci sono poi casi in cui il monumento non necessita di un capovolgimento della memoria, ma solo della rimozione di una parte della stessa. E questa è la categoria che ricorre con maggior frequenza: si usa una persona deceduta per farne il proprio campione, il proprio antenato illustre, rimuovendo dal monumento gli aspetti controversi della sua persona e idealizzandone la figura. Il più celebre caso, in anni recenti, è il monumento a Indro Montanelli a Milano, voluto nel 2006 dalla giunta di centrodestra. Ritratto mentre scrive e con una particolare enfasi sul capo chino, quasi ad astrarlo dal suo corpo per esaltarne la mente, puntando a far dimenticare le sue azioni più volte rivendicate (come l’acquisto di una bambina come “moglie” durante l’occupazione dell’Etiopia).

Infine, ci sono casi in cui un monumento celebra qualcosa per cui la società che lo commissiona non sta facendo abbastanza, come nel caso dei monumenti ai caduti sul lavoro o contro la violenza sulle donne. Se non accompagnati da una forte intenzione e visione politica, essi sono utili solo per postare foto dell’inaugurazione sui social, non offrendo alcun supporto, neppure simbolico, alle categorie a rischio o alla necessaria opera di sensibilizzazione. Questa pratica, sempre più diffusa, ha raggiunto talvolta risultati grotteschi, come nel caso del monumento contro la violenza sulle donne La maestà sofferente: una gigantesca poltrona rosa dalle sembianze femminili, senza testa, braccia e gambe, ridotta a inerme puntaspilli e circondata da sei belve. La poltrona è stata prima esposta in Piazza Duomo a Milano nel 2019, dove è stata oggetto delle contestazioni di Non Una Di Meno, e poi donata dall’autore alla città di Ferrara. Un’opera dunque che, pur risultando offensiva per molte donne, la stessa parte di società a cui si rivolge e che vorrebbe contribuire a proteggere, ha trovato collocazione stabile davanti alla fiera di Ferrara, dove è stata inaugurata l’otto marzo 2021. L’incoerenza della collocazione e l’ipocrisia sottesa è stata acclarata da altri eventi che hanno come protagonisti la stessa giunta ferrarese come un pubblicato su Facebook, che titolava “Se sei ubriaca, sei in parte responsabile dello stupro”, poi modificato, o il fatto che un malriuscito e evidentemente maschilista manifesto della sagra del riso Jolanda (potete vederlo qui) sia stato difeso dalla giunta stessa.

Ribadiamo che ovviamente questi processi sono tipici della storia stessa dei monumenti. Ogni monumento ai caduti o al milite ignoto, ad esempio, serve a trasformare una vittima in un eroe, una carneficina in una grandiosa azione nazionale. Ciò che però rende importante delimitare e dibattere il fenomeno è il fatto che oggi, nell’Italia democratica e repubblicana, l’inaugurazione di un nuovo monumento, da un lato, non ha senso che arrivi come imposta dall’alto per ragioni avulse alle necessità e alla comprensione della cittadinanza, e dall’altro è sempre più comune che venga accompagnata da percorsi partecipativi, sondaggi, progetti scolastici, per poi finire ad essere decisa a tavolino per piccoli/grandi e oscuri interessi economici e politici. 

I monumenti, infatti, non sono semplici manifesti di una campagna pubblicitaria o insegne che cambiano con le attività che segnalano: sono pesanti, ingombranti e concepiti per durare nel tempo. Nella maggior parte dei casi sono realizzati in bronzo o in marmo, e non mancano mai le targhe che precisano, a imperitura memoria, i responsabili di quello che viene narrato come un atto di filantropia. Le targhe con i nomi dei donatori svelano quella che spesso è la natura di queste opere: propaganda. Di fatto con questo approccio “leggero” a nuovi opinabili monumenti cediamo continuamente pezzi di spazio pubblico, che resta occupato nel tempo, per propaganda politica, propaganda aziendale, autopromozione e interessi personali di vario tipo

Come società dovremmo chiederci se abbiamo bisogno di monumenti e di che monumenti abbiamo bisogno, e dobbiamo tenere gli occhi puntati sulle committenze degli stessi. È finito, o perlomeno dovremmo pretendere che sia finito, il tempo in cui amministratori ricchi e banchieri locali imponevano alle nostre piazze i loro monumenti e i loro eroi, e per questo appare rilevante fermare questa ondata di monumental washing


1 Comment

Statue di donne ma contratti da fame. Il lavoro culturale non pagato di Mi Riconosci | Seize the Time · 01/02/2022 at 01:38

[…] dei beni culturali, ecc.); operazione  che, in un recente articolo, Mi riconosci definisce monumental washing: «l’operazione con la quale una committenza, sia essa pubblica o privata, commissiona o finanzia […]

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