III.III MANAGER DEI BENI CULTURALI

Formalmente il manager dei beni culturali è la figura professionale che si occupa di promozione e comunicazione del patrimonio, individuando gli aspetti strategici al fine di conseguire una corretta valorizzazione del bene in questione.

In Europa questa è una figura che da anni è serenamente associata al patrimonio culturale mentre in Italia c’è ancora qualche timore. Spesso alla direzione degli istituti culturali troviamo soggetti con elevate competenze scientifiche (quando ce ne sono) che, tuttavia, si occupano più della conservazione che dell’ effettiva fruizione e valorizzazione del patrimonio.

Il manager dei beni culturali deve essere il punto di contatto tra conservazione da una parte e valorizzazione e fruizione dall’altra. Questa figura deve necessariamente conoscere da vicino le specificità del patrimonio storico, artistico, archeologico, librario e archivistico italiano, consapevole del fatto che, riferendoci per lo più a beni pubblici e trovandoci in una società in continuo movimento, si conserva soltanto ciò di cui si percepisce il valore.

In una società come la nostra è importante diffondere il valore del patrimonio culturale a tutto il pubblico (pubblico, non-pubblico e pubblico potenziale) prima che il mancato valore percepito sia causa di un degrado irrimediabile.

Per quanto riguarda il tipo di formazione universitaria che deve avere un manager dei beni culturali, questa figura deve essere in possesso di una laurea magistrale facente parte delle classi di laurea LM-76 (Scienze Economiche per Ambiente e Cultura) o LM-89 (Storia dell’Arte). Essendo una figura ibrida tra il mondo del patrimonio culturale e quello gestionale dell’economia è necessario che nel percorso formativo si affrontino entrambi gli aspetti in maniera interdisciplinare tanto da permettere di applicare le strategie di marketing, comunicazione e promozione ad ogni specificità dei beni culturali.

Data la disomogeneità dei corsi di laurea e la settorialità (più burocratica che di contenuto) tra alcuni corsi delle classi citate, è importante non limitarsi a ricercare i requisiti della figura del manager in una specifica classe di laurea bensì nel percorso formativo affrontato, valutando i relativi CFU accumulati nei curriculum formativi.

Sotto la classe LM-76 di Scienze Economiche per Ambiente e Cultura sono presenti diversi corsi di laurea; di questi solo una minima parte dedica la propria attenzione al patrimonio culturale (solo 3 corsi hanno programmi di studio inerenti i BBCC), così come sotto la classe LM-89 di Storia dell’Arte in prevalenza troviamo studi umanistici che non prevedono l’interdisciplinarietà per l’aspetto gestionale (solo 5 hanno come materia caratterizzante una disciplina economica).

Per quelle che sono figure di connessione e di ibridazione, il MIUR deve valutare quei corsi emergenti che seguono come obiettivo primario l’interdisciplinarietà tra classi fin ora separate, riconoscendo l’importanza dei CFU nei curriculum formativi piuttosto che l’appartenenza ad una o all’altra classe.

Prima di esplicitare i vari compiti del manager è giusto ricordare qual’è la caratteristica identitativa del Paese Italia che è quella di esser prettamente Museo Diffuso o Museo Naturale.

Ogni comune italiano o quasi (di dimensioni considerevoli o modeste che sia) possiede almeno una piccola collezione che corrisponde ad una potenzialità enorme per turismo e occupazione.

Il turismo abbraccia quasi tutte le diverse tipologie di patrimonio (turismo paesaggistico naturale e balneare, turismo storico artistico e archeologico), la collaborazione della figura del manager dei beni culturali con le attività turistiche locali permetterebbe il rilancio economico dell’intero paese dovendo, di contro, assicurare l’accessibilità di tutti quei piccoli istituti culturali che oggi sono abbandonati a loro stessi.

Il manager dei beni culturali è compatibile con ogni tipologia di istituto culturale (musei, biblioteche, archivi, parchi d’interesse culturale, ecc) e deve necessariamente essere in grado di confrontarsi in maniera efficace ed efficiente con ogni professionista dei beni culturali con l’obiettivo di rendere il patrimonio più fruibile, aumentandone il relativo valore percepito, evitandone l’abbandono, e adempiendo finalmente a quello che deve essere l’obiettivo principe di ogni istituto culturale.

Il  manager dei beni culturali si occupa principalmente di:

  • Pianificare progetti utili alla valorizzazione del patrimonio
  • Pianificare interventi di manutenzione e conservazione preventiva dei beni culturali
  • Organizzare lo studio e la pubblicazione di dati e materiali relativi al patrimonio in collaborazione con gli altri professionisti dei BBCC
  • Gestire il patrimonio e comunicarlo in modo da ampliare la fruizione e l’accessibilità per plasmare il senso d’appartenenza della collettività degli stakeholder
  • Promuovere studi sul pubblico e valutare il gap tra il servizio erogato (offerta culturale) e come questo viene percepito (domanda)
  • Occuparsi della ricerca e del reperimento di finanziamenti per la realizzazione dei progetti

Il percorso formativo, criticità e proposte

La criticità maggiore nell’offerta formativa universitaria del manager dei beni culturali è dovuta proprio alla sua interdisciplinarietà. Gran parte dei corsi si limita ad avere obiettivi formativi appartenenti alla propria classe di laurea, mentre altri inseriscono queste discipline di “contatto” tra quelle opzionali a scelta dello studente. Entrando nel concreto, all’interno della classe di laurea LM76 Scienze Economiche per Ambiente e Cultura, ci sono solo pochi corsi che tra le materie caratterizzanti (e quindi obbligatorie) promuovono studi specifici del patrimonio culturale, mentre gli altri (come è giusto che sia), si occupano specificatamente di ecologia, turismo, diritto ambientale, ecc,  senza alcun contatto con le discipline umanistiche.

Lo stesso accade per la classe LM89 che ha corsi di Storia dell’arte in tutta Italia. Fra più di 30 corsi di laurea in Storia dell’Arte solo in 5 hanno tra le discipline caratterizzanti le materie di economia e gestione, gli altri corsi inseriscono le discipline economiche tra quelle a scelta dello studente o non le inseriscono affatto. Discipline come gestione o diritto dei beni culturali dovrebbero far parte del curriculum formativo di qualsiasi professionista che lavori per i beni culturali a prescindere dalla variabilità delle discipline opzionali.

Come abbiamo visto in entrambe le classi di laurea ci sono alcuni atenei che promuovono dei corsi interdisciplinari che tuttavia rimangono formalmente aggrappati alle proprie classi di laurea perché non c’è una vera e propria politica di riconoscimento da parte del MIUR che valuti, ed eventualmente premi, quei corsi di formazione che superano questa tradizionale settorialità/staticità per una più innovativa interdisciplinarietà.

Oltrepassata la confusione dei corsi di laurea si passa ad un più caotico mondo di corsi di formazione e di master.

Anzitutto, bisogna sottolineare che i master di Management dei beni culturali sono più numerosi rispetto ai corsi di laurea inerenti la materia. Appurato che in Italia i corsi universitari che riguardano la gestione dei beni culturali sono circa una decina (5 LM89 + 3 LM76), non si capisce quale sia la reale corrispondenza con i circa 20 corsi di master presenti (molti promossi dalle stesse Università che offrono anche i corsi di laurea).

Il prezzo di ciascun master va dai 1000 € (i più economici) ai 13000 € (i più costosi)  a seconda dell’offerta formativa con un costo medio che si aggira sui 6000 € per la durata media inferiore all’anno di corso.

Dando un’ occhiata all’offerta formativa del post lauream è subito evidente l’esiguo numero dei corsi che prevedono tra i requisiti d’accesso alla professione una laurea affine agli studi di riferimento (portando un esempio senza citare la fonte, per un corso di “Management dei beni culturali” da 1500 euro si richiede come requisito d’accesso una laurea in:  Architettura, Beni Culturali, Economia, Economia aziendale, Giurisprudenza, Ingegneria, Lettere e Filosofia, Scienze della formazione, Scienze statistiche o Sociologia, e l’ente si avvale comunque del diritto di poter valutare anche ulteriori lauree non affini).

Anche le ore didattiche del corso variano dalle 180 alle 3000 circa.

Oltre ai percorsi universitari ai master e alle scuole di specializzazione, ci sono anche enti formativi privati che offrono corsi spesso più economici e fruibili online che promettono i medesimi sbocchi lavorativi e che sono destinati anche a chi dispone del solo diploma di scuola media superiore ad un modico prezzo di 2500 euro iva esclusa.

Diventa ora molto chiaro quanto il sistema di formazione si sia ben organizzato per speculare sulla fame di lavoro dei pluri-laureati giovani italiani.

Abbiamo detto che l’Italia è il paese del Museo Diffuso, e che attraverso piccoli e grandi comuni con piccole e grandi collezioni si ricopre interamente il Paese. I grandi musei ben organizzati e che dispongono di personale qualificato in Italia si contano sulle dita di una mano, forse due (ad esser ottimisti)… E tutti gli altri istituti culturali?

Il problema è nella qualità dei servizi culturali attualmente erogata.

Non essendoci dei veri e propri requisiti minimi di qualità negli istituti culturali, non sembra necessario avere risorse umane qualificate e formate alla professione e si risolve procedendo in “economia” con volontariato specializzato non retribuito o addirittura affidando commissioni a personale non formato affatto. Come già spiegato nei capitoli introduttivi di questo documento, una politica simile porta danni enormi al Paese.

 

Criticità e proposte in breve:

  • I curriculum con “eccessiva” libera scelta delle discipline non garantiscono l’omogenea formazione di chi si laurea nello stesso corso, frammentando ulteriormente lo scenario di quelle competenze trasversali che dovrebbero avere i manager dei beni culturali
  • Non è sufficiente individuare la classe di laurea, ma è necessario valutare ogni specificità dei percorsi formativi attraverso la lettura dei CFU caratterizzanti, il MIUR deve trovare metodi di valutazione per accreditare i percorsi interdisciplinari necessari alle figure professionali di “contatto”
  • Il MIBACT deve prendersi carico della responsabilità di individuare i requisiti minimi di qualità da estendere su tutti i servizi di erogazione del patrimonio e, di conseguenza, servirsi delle risorse umane disponibili per gestione e valorizzazione dello stesso


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