La demolizione del villaggio Zaccaria a Giugliano di Campania e la conseguente reazione collettiva raccontano la drammatica realtà del nostro Paese.

Ci sono immagini che a volte compiono miracoli. Questo è probabilmente il caso della foto che la giornalista Claudia Procentese ha pubblicato giovedì pomeriggio sul suo profilo Facebook: lo stesso scorcio di Borgo Zaccaria, a Giugliano, prima in piedi, e poi completamente demolito. Parole semplici “un feudo baronale con tanto di case a corte e chiesa, dedicata a san Francesco d’Assisi, di impianto cinquecentesco e decorazioni a stucco di ispirazione barocca. Giugliano è conosciuta come “Terra dei fuochi”. Potrebbe essere conosciuta per altro. Non so se esistesse un vincolo monumentale storico-artistico, non so a cosa sia adesso destinato lo spazio, parcheggio o palazzine di cemento o giardinetto pubblico”: era destinato a villette a schiera, e incredibilmente non esisteva un vincolo.

Ma quante ville, quanti villaggi, quanti edifici ricchi di storia e arte, dopo essere stati lasciati rigorosamente in abbandono per decenni, vengono demoliti ogni anno per lasciar spazio a supermercati, villette a schiera, palazzi o parcheggi? Centinaia, se non migliaia. E quasi sempre nel silenzio, nel disinteresse collettivo, nell’impunità non solo penale ma anche e soprattutto sociale. Questa volta, invece, la notizia è stata condivisa da migliaia e migliaia di persone. In poche ore abbiamo scoperto tutto di quel villaggio: le foto degli interni, l’abbandono, il progetto delle villette. Forse perché la foto era in effetti a dir poco significativa, forse perché in tanti conoscevano il borgo e in troppo pochi erano stati informati della demolizione, fosse perché proprio per la gente di Giugliano quanto avvenuto è stato troppo, con un comune commissariato e neppure un sindaco a cui chiedere spiegazioni. Forse perché in pochi sanno che ci sono beni storico-artistici che non sono vincolati, perché le Soprintendenze sono talmente sottofinanziate e carenti da essere incapaci di monitorare il territorio: nel novembre del 2019 proprio la Soprintendenza dell’area metropolitana di Napoli chiedeva aiuto, spiegando che “il numero stesso delle pratiche risulta non proporzionale alle capacità lavorative di un singolo lavoratore che comunque è obbligato da  responsabilità civili e penali. La  mole dei carichi di lavoro ha raggiunto un gravame tale da rendere umanamente impossibile lo svolgimento dell’attività lavorativa nei tempi imposti dalla legge”. Tutto questo in un territorio, come tanti altri in Italia e più di altri, aggredito da criminali e speculatori.

Non sappiamo perché stavolta il caso sia esploso. Sappiamo però che è una vicenda che ci racconta qualcosa. Ci racconta che istituzioni deboli servono solo a chi vuole speculare, a poteri criminali, e criminali non solo perché e quando lo dice la legge: criminali perché intervengono in modo criminogeno contro le comunità, contro gli interessi del territorio, contro la collettività. Poteri diversi che hanno massacrato e continuano a massacrare il nostro Patrimonio e la nostra storia, perché un Paese e una comunità senza storia, senza cultura, è più debole e malleabile. Lo schema è sempre lo stesso: abbandono e conseguente speculazione.

Non sappiamo se la misura sia colma. Ma certo il fatto che quell’area non fosse nota ai (pochi) funzionari locali ci dà la cifra della debolezza delle Soprintendenze, che dura e peggiora da decenni; certo il silenzio del Ministero dei Beni Culturali e dei maggiori giornali locali e nazionali, a oltre 24 ore dallo scoppio del caso, non stupisce ma indica un problema strutturale e grave in questo Paese. Ma, cosa più importante, il fatto che un caso sia scoppiato indica che c’è una larga parte della popolazione che non accetta e non vuole accettare la distruzione del proprio Patrimonio in cambio del profitto di pochi. Questo sistema è costruito contro i cittadini e i territori, lo vediamo ogni giorno di più: e a quanto pare sono sempre di più a rendersene conto. 


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