Il 15 settembre i lavoratori di Opera Laboratori Fiorentini hanno scioperato per denunciare le loro condizioni di lavoro: cassa integrazione e orario ridotto.

Il 15 settembre abbiamo partecipato allo sciopero indetto dal sindacato Cobas – lavoro privato che si è svolto a Pompei, in piazza Anfiteatro. Decine di lavoratori di Opera Laboratori Fiorentini insieme ad altri cittadini partecipanti hanno presidiato l’ingresso degli scavi per rendere note le condizioni di lavoro dei dipendenti delle biglietterie del Parco Archeologico di Pompei e di quello di Ercolano. Il sito però è rimasto aperto, a causa di una legge del 2015 che consente di precettare i lavoratori pur di tenere aperti a tutti i costi i musei. Ma con megafono e bandiere gli scioperanti si sono fatti sentire.

Dalla riapertura dei musei, i lavoratori svolgono mediamente la metà delle ore in cui erano impiegati in precedenza: dalle 158 ore mensili di prima alle 60 ore attuali. Denunciano inoltre che queste poche ore di lavoro non sono neppure accorpate in un minor numero di giorni settimanali, causando spese di viaggio maggiori. Il loro stipendio è passato da circa 1300€ mensili a 650€, senza alcun rimborso spese. “Da venti anni lavoriamo qui” dichiara la Rsa Cobas, “non abbiamo mai avuto diritto neppure ad un luogo dignitoso in cui consumare un pasto. Di tutta risposta, dopo mesi di mancato lavoro e in cui siamo in attesa della cassa integrazione, arriva anche il taglio delle ore lavorative”.

Oltre a Mi Riconosci, a sostenere lo sciopero erano presenti in piazza guide turistiche, e i rappresentanti del progetto politico Terra – nonché insegnanti iscritti anch’essi a Cobas. “Sono un’insegnante” dichiarava un’attivista, “ed ogni volta che volevo portare i miei alunni a Pompei la mia prenotazione veniva smistata a Torino. Non capisco perché debbano gestire altrove il nostro patrimonio, non capisco perché questa colonizzazione, mentre la nostra regione muore di precariato”.

Ma chi è Opera Laboratori Fiorentini, l’azienda responsabile delle condizioni che hanno dato vita a questo sciopero? Essa è parte del gruppo Civita Holding, che si occupa di progettazione e gestione di servizi museali, fa capo a Gianni Letta ed è presente nei maggiori musei da nord a sud Italia. Una ditta privata che ha in mano la gestione di servizi museali dei maggiori musei italiani. Parliamo di un’azienda che fattura più di 70 milioni all’anno, ma non ha esitato a scegliere dove tagliare dopo il lockdown: ovviamente, sui lavoratori. Di questi settanta milioni, una quota consistente viene da Pompei. Ma nel sito del Parco Archeologico non siamo riusciti a trovare la quantità precisa:  sappiamo però che dalla sola vendita dei biglietti, il Parco archeologico ha incassato nel 2018 circa 35 milioni di euro.

Chiari sono invece i dati sui cosiddetti “Servizi aggiuntivi”: lo Stato tiene per sé le briciole. Il bookshop (gestito da Arte’m) fattura nel 2018 la cifra di 969.000€ circa, ma allo Stato ne restano solo 81.000€. La caffetteria ha dichiarato di aver incassato 1.400.000€, il ristorante oltre 1.000.000 (entrambi gestiti da Autogrill) , e lo Stato non ha incassato nulla su questo fatturato. Per le audioguide, siamo su un incasso di 600.000€ di cui la metà circa al sito; dei 60.000€ della prevendita biglietti, gestita da Ticketone, poco più di 3000€ restano a Pompei. Coopculture, che gestisce le visite guidate, ha incassato circa 60.000€, di questi solo 16.000€ allo Stato. 

Insomma, potremmo dire che non c’è sito più ghiotto di Pompei, per queste aziende di servizi, mentre lo Stato “regala” queste cifre da capogiro che potrebbero essere spese per la collettività e la pubblica fruizione. Infatti è ormai noto che lo Stato guadagnerebbe molto di più internalizzando i servizi, che dandoli in concessione. Su questo insistono anche i lavoratori di Opera, che chiedono con forza l’internalizzazione del personale da parte del ministero, così come di recente è stato fatto con i collaboratori scolastici nel mondo della scuola – passati dalla condizione di lavoratori dipendenti di alcune cooperative, a dipendenti statali.

Il sistema concessioni e delle esternalizzazioni culturali, ormai è evidente, va riformato, ha mostrato tutta le sue contraddizioni: noi abitanti e lavoratori del territorio siamo stanchi di essere sfruttati per i profitti di pochissime grandi aziende che gestiscono i beni culturali italiani. Nel 2015 il Ministro gridava allo scandalo quando, per esercitare il loro diritto di sciopero e rivendicare un lavoro dignitoso, i lavoratori chiudevano per poche ore Pompei o un altro museo. Oggi il Ministro tace di fronte agli scioperi, finge che non esistano, ma il vento è cambiato, e possiamo dire: 10, 100, 1000 di questi scioperi.


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