Il piano del Parco Archeologico di Pompei prevede visite limitate e geolocalizzate. Quali sono le priorità per la riapertura dei siti culturali?

Obbligo di scaricare un’app sul cellulare, un braccialetto usa e getta in grado di geolocalizzarti, droni che ti osservano dall’alto e percorsi obbligati. L’articolato piano di Pompei per la riapertura, annunciato alla stampa il 28 aprile, sembra dettato da improcrastinabili necessità. Ma in un Parco Archeologico esteso oltre 60 ettari, dove mantenere il distanziamento sociale è decisamente facile rispetto ad altri siti culturali oggi chiusi, ottenere visite sicure in questi mesi appariva davvero semplice: pochi ingressi, ad esempio, avrebbero significato un rischio di assembramenti pressoché nullo. 

E allora perché il direttore Massimo Osanna invece preferisce proporre un piano simile? Quali e quanti sono i benefici rispetto ai costi, non solo economici ma anche ambientali, per il Parco e per i visitatori? L’unicità di Pompei, infatti, consiste in un esteso tessuto urbano fatto di case, botteghe, strade, teatri e piazze, del tutto simile ad una città moderna. Pompei senza le case, e senza la libertà di circolare somiglia più a quelle esperienze da parco divertimenti, con percorsi fissi e attrazioni ai lati, che alla città romana sepolta che fu. Imporre una visita obbligata, in cui tutti seguono lo stesso percorso, pure a senso unico magari, è quanto di più simile in questi anni hanno fatto i “crocieristi”, i turisti mordi e fuggi che visitano Pompei in poco più di un’ora.

Questo è il modello migliore che il Parco archeologico è riuscito a concepire? Perché si sta immaginando questa soluzione? La risposta appare banale: per massimizzare gli incassi e ridurre le perdite. A fronte di visite controllate e limitate, infatti, non si sta parlando di alcuna riduzione del prezzo del biglietto. Percorsi fissi e visite che scorrono veloci permettono di vendere più biglietti; chiudere diverse domus permette di ridurre i costi per la manutenzione di quei luoghi per qualche mese; avere visitatori solo in certe aree permette di ridurre il numero di custodi e il personale; i braccialetti geolocalizzati e altre magnificenze simboliche danno una sensazione di sicurezza agli avventori occasionali, così come i droni, che i più informati suggeriscono essere una boutade giornalistica che non vedrà attuazione a lungo. 

Poco male se tutte queste scelte faranno passare la voglia di visitare il sito a molti cittadini residenti in zona, scoraggiati dalle complicazioni, dalle restrizioni e dall’immutato costo del biglietto per un servizio ridotto, proprio nel momento in cui, scomparsi i turisti, la cittadinanza potrebbe finalmente riappropriarsi dei suoi luoghi di cultura. Tutto nel vantaggio dei concessionari del sito, che nulla hanno a che fare con il territorio. L’indotto generato da una visita a Pompei infatti prende altre vie, perché le imprese concessionarie sono aziende del centro-nord: Civita per la biglietteria e l’accoglienza, Autogrill per la ristorazione, Coopculture per guardaroba e servizi didattici. Nel pre-pandemia ottenevano l’89% dei proventi dei servizi di ristorazione, caffetteria, audioguida, ora, con l’obbligo di prenotare online la visita, potranno ottenere ancora di più, dato che il 100% dei proventi per il servizio di prevendita va al concessionario

Non è chiaro come questa macchinosa soluzione possa portare benefici migliori rispetto all’impiego di personale di vigilanza in numero adeguato alle esigenze: durante una visita a Pompei, può capitare di non trovare un custode neppure cercandolo. Restano tante domande. Il Parco ha pensato di ridurre il costo del biglietto d’ingresso? Ha pensato ad una forma di risarcimento per coloro che avevano acquistato l’abbonamento annuale, pagandolo ben 60€? Ha pensato all’impatto ambientale di decine di migliaia di braccialetti usa e getta? E ancora, se ha in mente un piano tanto complesso per il sito di Pompei, ha pensato a un piano di riapertura per tutti gli altri siti (Boscoreale, Oplontis, Stabiae) che ricadono sotto la stessa responsabilità? 

Se queste sono queste le priorità che le più importanti istituzioni culturali italiane hanno in mente per la riapertura, minimizzando le perdite con visite più limitate e limitanti, forse è il caso di rivedere le priorità del nostro intero sistema culturale.

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