L’intervista del presidente di Legambiente che accusa le Soprintendenze di frenare la transizione ecologica è solo l’ultimo atto di una guerra alla tutela del patrimonio.

“Le Soprintendenze sono nostre alleate quando si tratta di combattere cementificazione selvaggia e speculazione edilizia. Ma sulla transizione ecologica proprio non ci siamo”. Parole e musica di Stefano Ciafani, ingegnere ambientale e presidente di Legambiente dal 2018. In una lunga intervista pubblicata da Repubblica il 19 maggio, Ciafani si lancia in una serie di accuse tra le più classiche che da decenni vengono rivolte agli organi preposti alla tutela del paesaggio, sintetizzabili in “dicono sempre no”.

L’intervista deve essere arrivata come un fulmine a ciel sereno ai lettori di Repubblica, ma in realtà segue di qualche giorno l’invio di una lettera unanime dell’intero mondo dell’archeologia, dai precari ai professori universitari e le imprese, che invocava l’aiuto di tre ministri (Cultura, Trasporti e Transizione Ecologica) per stralciare una bozza di decreto che annullerebbe in molti casi e ridurrebbe in molti altri la tutela archeologica ma anche paesaggistica – quindi anche di quegli ecosistemi che ad associazioni come Legambiente dovrebbero essere cari-. La lettera degli archeologi è stata ripresa da pochissime testate nazionali generaliste (in particolare il Fatto Quotidiano, con due diversi articoli, uno online e uno cartaceo, pubblicati il 19 maggio), ma senza dubbio, data la varietà dei firmatari, deve aver fatto rumore. Perché stiamo parlando, lo sottolineiamo, di una bozza di decreto che doveva rimanere riservata, circolata informalmente grazie a qualche addetto ai lavori preoccupato dalle conseguenze che avrebbe avuto un’approvazione in silenzio.

In realtà sempre più fonti, come il Foglio, descrivono uno scontro in atto tra il neonato Ministero della Transizione Ecologica guidato da Roberto Cingolani (diviso, lo sottolineiamo, dal Ministero dell’Ambiente) e il Ministero della Cultura guidato da Dario Franceschini, proprio perché il piano di Cingolani prevede briglia sciolte per la costruzione di impianti e infrastrutture legati alla “transizione ecologica”. Chiaro che in questa transizione ecologica ci sono tanti portatori d’interessi, aziende, amministratori: non a caso è la fetta più importante del Recovery Plan, mentre alla Cultura restano briciole. Ed eccoci quindi al j’accuse di Legambiente, rilanciato urbi et orbi senza aver però permesso ai lettori di comprendere il contesto in cui questa arriva. E naturalmente senza contraddittorio, per cui ora sappiamo, da quell’intervista, di supposti impedimenti in Sardegna o a Taranto senza conoscere i motivi che hanno portato le Soprintendenze locali a simili scelte.

Perché in effetti sono proprio le prerogative che danno tanto fastidio ad alcuni gruppi che non conoscono la realtà degli uffici ministeriali – come quel vincolo indiretto che ora si vorrebbe svuotare di significato – ad aver permesso la realizzazione di opere e infrastrutture in armonia con il paesaggio, senza costringere le Soprintendenze a ricorrere a vincoli più stringenti, come il celeberrimo, ma molto raro, blocco dei lavori. Invece di elogiare, o quantomeno analizzare, la strategia dei funzionari – sempre perfettibile – che lavorano con mezzi spuntati tentando di fare il possibile per far coesistere tutela e edilizia, si sceglie di attaccarli, descrivendoli, come nel più classico dei luoghi comuni, come sacerdoti della tutela acritica. Approfittando anche della loro impossibilità di farsi sentire, dato che non possono dichiarare ai giornali senza il permesso del loro superiore, e quindi non possono con facilità ottenere la stessa attenzione mediatica dei fautori della transizione disordinata. Sì, sono usciti in risposta un comunicato delle due principali associazioni di funzionari, e anche un comunicato di Italia Nostra, ma naturalmente l’intervista a tutta pagina di Legambiente ha fatto più rumore.

Il problema non sono i no, ma la cattiva progettazione. Nell’articolo uscito su Il Fatto Quotidiano il 19 maggio questo punto ritorna in tutte le voci degli archeologi ascoltati: cattiva progettazione che viene da carenze strutturali delle Soprintendenze, da norme poco funzionali, dalla poca abitudine di alcuni architetti e ingegneri a progettare insieme agli archeologi. Ma sono cose che man mano si vanno acquisendo. Questo decreto però, come spiegato anche dal presidente di Assotecnici Andrea Camilli e riportato dal Fatto Quotidiano, è scritto senza il parere di chi si occupa di progettazione, ma solo di chi la subisce, e vuole accelerare a ogni costo, anche a costo di danni irreparabili e lacrime sul latte versato.

Che i giornali di certi gruppi editoriali diano spazio a chi attacca le Soprintendenze non è una novità e non stupisce. Che lo facciano ignorando ciò che rende realmente le Soprintendenze incapaci di assolvere al meglio i propri compiti, ovvero la grave carenza di organico e fondi, anche. Ma stupisce invece che il presidente di un’associazione di ambientalisti, o supposta tale, si schieri apertamente con i nemici dell’ambiente e del paesaggio a favore del più becero greenwashing. La transizione ecologica non si fa sulla pelle della tutela ambientale e paesaggistica, ci sembra ovvio ma tanto vale ribadirlo.


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