beppe sala muri romani

“Purtroppo abbiamo rinvenuto una vecchia struttura di epoca medievale realizzata con blocchi lapidei di epoca romana, che c’ha un po’ rallentato le operazioni”

“Ci mancavano solo i muri romani, eh? Quando le cose vanno in un certo mondo, non ce n’è, come in quel famoso film… potrebbe anche piovere, e oggi piove”

Questo scambio di battute tra l’ingegner Mannella, presidente del consorzio dei costruttori, e il sindaco di Milano Beppe Sala è andato in onda il 21 aprile in un video del sindaco dedicato ai lavori della metro M4 di Milano, scatenando polemiche e clamore in ambito archeologico. Impressiona ascoltare certe parole dal sindaco di una metropoli che si vorrebbe europea e all’avanguardia, e non ripeteremo quanto già scritto da altri (ad esempio qui e qui) sul fatto che Milano senza il suo passato non esista, che un sindaco non dovrebbe esprimersi a tal modo riguardo procedure previste dalla legge, o che l’archeologia preventiva intervenga in sede preliminare di qualsiasi progetto pubblico, appunto per non “ostacolarne” i lavori in corso d’opera. Ci interessa concentrarci sul contesto che ha reso possibile frasi tanto leggere e fuori luogo, riguardo strutture d’epoca medievale, da parte del sindaco di Milano.

Facciamo lo sforzo di contestualizzare quelle frasi. Inutile prendersi in giro, sono frasi che tanti amministratori locali, e probabilmente anche lo stesso Beppe Sala, hanno pronunciato in privato centinaia di volte; tante amministrazioni hanno propagandato quell’immagine pubblica di “rallentamento dei lavori” e spreco di denaro, sottolineando le supposte colpe di un’archeologia osteggiativa; mentre nella maggior parte dei casi, lontano dalla telecamere, si chiudono gli occhi e si giustificano le peggiori ricoperture in onore del tempo e del denaro, ma a discapito del patrimonio archeologico. 

La retorica che vede l’archeologia e il passato come un inutile intralcio al presente ha dilagato in tutto l’arco politico, portando diversi esponenti politici di spicco, negli anni, a chiedere la soppressione delle Soprintendenze e della tutela archeologica (e non solo). Le riforme ministeriali e la mancanza di personale hanno depotenziato sempre più le Soprintendenze archeologiche, rendendole incapaci di fare ricerca e valorizzazione nel vantaggio della cittadinanza, e trasformandole sempre più in quelle “che bloccano i lavori”.

Dovrebbe stupirci la battuta malriuscita di Beppe Sala, tutto indaffarato a offrire un’idea di ripartenza immediata e senza ostacoli? Ci indigna ma non ci stupisce, perché il contesto che l’ha resa possibile è di gran lunga più grave della battuta stessa. Il cantiere di una metro aperto in piena emergenza coronavirus, gli archeologi precari messi al lavoro insieme a tanti altri colleghi, ma, chiaramente, quando si rinviene qualcosa di rilievo, è l’ingegnere a spiegare “purtroppo”. Questo è il ruolo che l’archeologia ha nella società che abbiamo costruito, e di cui il coronavirus sta mostrando tutte le contraddizioni. La maggior parte degli archeologi, oggi, lavora da precario, per pochi euro all’ora, al servizio di chi costruisce. L’archeologo è l’ultimo della filiera edilizia, e l’archeologia è tutelata, in emergenza, soprattutto “perché bisogna”, perché lo dice la legge. Purtroppo. Salvo rinvenimenti eccezionali da sbandierare ai turisti.

Chiediamoci se tutto ciò sia ancora accettabile, e se non sia il caso di ottenere l’indipendenza dell’archeologia dai cantieri edili, di permettere alla disciplina di tornare a funzionare ed essere al servizio della cittadinanza, con istituti messi in condizione di fare ricerca e svolgere il loro compito nella maniera migliore possibile, in modo che nessun ritrovamento archeologico sia mai “purtroppo” e che le amministrazioni locali e nazionali riconoscano la rilevanza del passato nella costruzione di valore sociale e culturale

Noi, ad esempio, saremmo curiosi di sapere anche  che storia è in grado di raccontarci quella struttura d’epoca medievale (non romana!) rinvenuta, oltre a sapere quando sarà pronta la metro. Voi no?

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