Per rilanciare il turismo, il Ministro Franceschini ha proposto nuovi treni ad Alta Velocità e il Ponte sullo Stretto. Ma c’è davvero una relazione?

«Alta velocità e piano per i borghi. Così rilanceremo il turismo al Sud», questo l’incipit dell’intervista del Corriere della Sera a Dario Franceschini, Ministro dei Beni Culturali, del 31 Maggio 2020. Il grande punto che ha catturato l’attenzione di tutti è il rilancio delle infrastrutture nel nostro Paese. Il fatto che per far proliferare il turismo servano le infrastrutture è un vecchio mantra italiano, e non infrastrutture qualunque, ma linee ferroviarie ad alta velocità. Ma pensiamoci, è davvero così?

A livello intuitivo è immediatamente chiaro che solo a una sparuta minoranza di turisti in vacanza interessi davvero impiegare 2 o 4 ore per andare da Bologna a Firenze. Non si sceglie certo dove andare in vacanza sulla base della velocità del treno: e a riprova di ciò, Salerno è ai margini dei circuiti turistici nonostante sia da anni terminale dell’Alta Velocità. Non c’è alcuna relazione tra i treni alta velocità e la diffusione del turismo. 

C’è invece, questo sì, una relazione tra i servizi offerti al visitatore e i flussi turistici; ma anche in questo caso le infrastrutture sono solo uno dei servizi in cui siamo manchevoli come Paese, e, a differenza di quanto raccontano i luoghi comuni, non il più importante. Il World Economic Forum nei suoi report sulla competitività turistica internazionale (l’ultimo del 2019) fa notare che le debolezze dell’Italia rispetto alla media europea riguardino le risorse umane e l’organizzazione del mercato del lavoro: prezzi e infrastrutture sono in linea con la media dei paesi dell’Europa Occidentale.

Ciò non significa che migliori infrastrutture non possano servire anche allo sviluppo turistico, ma non sono il punto, non sono la priorità: le infrastrutture devono servire anzitutto a chi risiede sul territorio tutto l’anno, visto che è decisamente fuori da ogni discussione che i trasporti in Italia, scissi e barcamenati tra pubblico e privato, rivelino quotidianamente delle falle di gestione evidenti, rispetto ai costi dei servizi e al principio di esclusione che vi è dietro la classificazione dei mezzi di trasporto; questo per non parlare del fatto che gli imprenditori del settore abbiano sempre goduto in Italia del comune e silenzioso beneplacito a nascondere la propria polvere sotto al tappeto, soprattutto con la scusa annosa della creazione di posti di lavoro – e anche lì ci sarebbe da andare a definire che tipo di lavoro.

C’è poi un dettaglio da non trascurare: raramente per ottenere “migliori infrastrutture” c’è bisogno di opere grandiose e molto costose.

Prendiamo ad esempio l’ormai celeberrimo Ponte sullo Stretto di Messina, rilanciato non a caso dal Ministro con l’argomentazione: “Non è possibile e giusto che l’alta velocità si fermi a Salerno. […] ora che le risorse ci sono bisogna avere il coraggio di immaginare grandi scelte […] i treni ad alta velocità dovranno pur attraversare lo Stretto.” Il Ponte, “grande opera” che sarebbe sospesa in una delle aree a più alto rischio sismico del Mediterraneo, dal 1971 ha già fatto spendere oltre 300 milioni in studi e progettazioni, oneri e anni di incertezze; alla fine, l’idea fu finalmente abbandonata (fino a oggi) con una previsione di spesa di circa 9 miliardi. Se ci pensate, come dice il Ministro, quando ricapita un giro di denaro pubblico così grande?

Ma ancora, quella dello Stretto è solo una delle tante suggestioni che sono state mediaticamente lanciate dal MiBACT nel corso delle ultime settimane. Recentemente è stata rispolverata la vecchia proposta, bocciata già nel 2016, di una fermata dell’Alta Velocità esattamente di fronte agli scavi di Pompei. A cosa potrebbe servire far arrivare l’Alta Velocità di fronte agli scavi, se non a gettare ancor di più il sito nelle mani di un turismo mordi e fuggi che non si ferma sul territorio, dopo un investimento di decine di milioni di euro pubblici? Quanto si potrebbe fare per il turismo locale investendo quei fondi in maniera più logica e lungimirante?

L’Alta Velocità in generale, per come è stata progettata e costruita finora in Italia, è risultata un’opera sovradimensionata, macchiata da costi ingenti a cui spesso non hanno corrisposto adeguati benefici. In particolare, le linee attualmente esistenti attraversano aree molto popolate, ma sono sovraccariche, soprattutto nella tratta Firenze-Roma, perché la ferrovia “tradizionale” è troppo vecchia e quindi troppo poco utilizzata. L’Alta Velocità, per via di scelte e valutazioni sbagliate, è costata in media 32 milioni di euro a chilometro: ha senso un progetto simile per tratte, come quella da Salerno a Palermo o da Bologna a Taranto, dove una nuova e moderna ferrovia, che permetta di fare molte meno fermate, potrebbe abbattere i tempi di percorrenza senza bisogno di una ferrovia ad alta velocità? Per non parlare del fatto, già evidente a molti, che nel Meridione e nell’Italia centro-orientale è l’intera rete infrastrutturale a necessitare di radicali rimodernamenti, non solo le tratte a lunga percorrenza verso il Nord: ad esempio, la rete ferroviaria del Molise conta 265 km di linee quasi tutte a binario unico e non elettrificate, servite da 28 stazioni.

Nell’intervista del 31 maggio, menzionando mordacemente un progetto di rilancio per i borghi appenninici, il Ministro conclude questo futuristico ritratto di un’Italia ad alta velocità, saldando con un salto retorico la riqualificazione dei borghi alle infrastrutture: “proviamo a pensare a un’alta velocità spostata all’interno, a fianco dell’autostrada”, spiega, come se saldare tutto l’Adriatico in una linea a 250 km/h che arrivi dentro gli aeroporti potesse contribuire a portare i turisti tra le asprezze orografiche della penisola che trema. La sfortuna vuole che nella realtà dell’Italia del centro e del centro-sud i borghi siano arroccati su colline e montagne, le strade sono strette e tortuose e le vere bellezze dell’entroterra si vivono a piedi, nei Parchi Nazionali, sui sentieri naturalistici e gli unici percorsi ferroviari possibili sono quelli regionali a lenta percorrenza tra gli altipiani, che spesso vengono preferiti all’autostrada (di gran lunga più veloce) per il puro gusto di godersi il panorama. E che spesso tra una città e l’altra dell’interno manchino trasporti pubblici decenti.

Come si può rilanciare con la velocità consumistica la parte di Patrimonio culturale e paesaggistico che più di tutte, forse, ha vissuto male il trasporto veloce e lo spostamento dei poli di consumo? Ma le lista delle contraddizioni e della poca chiarezza dimostrate sul Patrimonio montano e collinare italiano, tanto ricco quanto lasciato spesso in un angolo, è ancora lunga, e merita ulteriore attenzione. Nel frattempo, no, non servono treni ad alta velocità per rilanciare il turismo. 


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