Pubblichiamo l’articolo comparso su The Economist il 12 marzo scorso, nella traduzione pubblicata da Internazionale (numero 1145), con il titolo “Un patrimonio da proteggere”. L’analisi del disastroso rapporto di italiani e greci con il proprio patrimonio culturale ci sembra assolutamente rilevante, ancor più perché comparsa su una rivista straniera di livello. Condividiamo l’articolo quando dice che è necessario coltivare il patrimonio culturale coem elemento identitario collettivo, ma lo proponiamo anche per riflettere su alcune contraddizioni. Non si approfondisce l’impatto delle politiche di austerità sul finanziamento della cultura e la visione dell’operato del governo Renzi ci pare decisamente da rivedere: i nuovi finanziamenti al settore continuano a essere legati a interventi spot privi di una programmazione e di un effetto reale nel Paese, mentre sappiamo bene che la battaglia in Europa per la flessibilità di bilancio non è affatto legata a un potenziamento delle politiche culturali o delle politiche sociali, ma alla prospettiva della riforma fiscale

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Il mausoleo di Augusto, a Roma, è un posto triste, recintato e chiuso ai visitatori. In altri paesi questa enorme tomba nel centro della città sarebbe considerata un monumento nazionale. Ma a Roma, per anni, è stata usata solo per far fare i bisogni ai cani. L’ultimo progetto di restauro è stato approvato nel 2007, e i primi fondi sono stati stanziati solo nel 2015. A giugno si voterà per eleggere il nuovo sindaco della capitale e c’è il rischio che i fondi siano dirottati altrove.

Il complicato destino della tomba del primo imperatore romano è il simbolo di una situazione paradossale: gli stati europei con il più grande patrimonio culturale, Grecia e Italia, nel 2013 erano quelli che spendevano meno per la conservazione del patrimonio e per la promozione delle arti: lo 0,2 per cento della spesa pubblica in Grecia e lo 0,6 per cento in Italia (penultima insieme a Portogallo e Regno Unito). La più grande sostenitrice della cultura era la Lettonia, con il 2,3 per cento della spesa pubblica.

La parsimonia di Italia e Grecia è in parte legata alle difficoltà economiche. Si tratta dei due paesi dell’Unione europea con il debito pubblico più consistente (133 e 173 per cento del pil), e alcuni dei tagli più drastici durante la crisi dell’eurozona sono stati fatti proprio nel bilancio della cultura. Ma anche prima della crisi Italia e Grecia spendevano poco per questo settore, e la cosa è ancora più grave se si considera la loro tradizionale diffidenza nei confronti dei finanziamenti privati.

La cultura è particolarmente importante in questo momento: gli europei stanno mettendo in dubbio la loro identità comune più di quanto abbiano mai fatto dalla seconda guerra mondiale. Esistono due argomenti per sostenere che gli europei hanno più cose in comune dei soli interessi economici. Il primo, promosso dall’ex papa Benedetto XVI, insiste sul patrimonio cristiano del continente. Ma, in un momento in cui l’Europa è sempre più laica e molti dei suoi nemici usano la fede come marchio identitario, molti europei sono riluttanti a definirsi in termini religiosi.

L’altro argomento si rifà all’epoca classica, quando l’impero romano e la filosofia greca rappresentarono i primi elementi di unificazione del continente, soprattutto dal punto di vista dei principi democratici. Come altri miti fondatori, anche questo contiene delle forzature: Platone, per esempio, non era affatto un sostenitore della democrazia. Eppure la narrativa classica, che s’intreccia con la storia dell’antica Atene fino al rinascimento e all’illuminismo, ci offre un’identità dell’Europa radicata in valori culturali e intellettuali, oltre che religiosi. La cultura è spesso citata dai politici italiani e greci come un monito davanti all’ossessione del nord per le regole: espellere i due stati più ricchi di storia culturale vorrebbe dire strappare il cuore all’Europa.

 

Sfida contro l’irrazionalità

In tempi recenti, però, i due paesi hanno adottato due approcci diversi. Poco dopo gli attentati terroristici di Parigi, il presidente del consiglio italiano Matteo Renzi ha dichiarato che l’Italia avrebbe combattuto il terrorismo stanziando un miliardo di euro per la cultura, oltre al miliardo per il potenziamento della sicurezza. Come spesso succede al premier italiano, anche in quel caso Renzi ha posto una condizione: Pier Carlo Padoan, ministro dell’economia e delle finanze ha infatti precisato che la spesa per la cultura era vincolata alla concessione di una maggiore flessibilità di bilancio da parte della Commissione europea.

In ogni caso quello di Renzi resta un atto di sfida contro l’irrazionalità sanguinaria e un atto di fiducia nel ruolo che la cultura può avere nella lotta al fanatismo. A prescindere dalla Commissione europea, Renzi ha approvato un aumento del 27 per cento del budget del ministero per la cultura, portandolo a 2 miliardi (in seguito l’aumento è stato ridimensionato).

Dario Franceschini, che guida il ministero, sta cercando di aumentare il coinvolgimento del settore privato e stimolare l’interesse dei giovani nei confronti de patrimonio culturale italiano. Inoltre è previsto uno sgravio fiscale per le sponsorizzazioni culturali. Il governo vuole consegnare una tessera con 500 euro a ogni ragazzo che compirà 18 anni nel 2016 da spendere esclusivamente nei teatri, nei musei, nelle librerie e nei siti archeologici (in realtà si potranno usare anche per acquistare computer o tablet, ndr).

In Grecia la situazione è radicalmente diversa. Nel 2015 sono arrivati più di 800mila profughi. Tutte le energie del governo sono state dedicate alla crisi dei migranti, alla riforma delle pensioni e al taglio del debito. Ma la mancanza di fondi per la cultura nasce anche dalla visione secondo cui il patrimonio della Grecia è solo dello stato.

“La Grecia esiste grazie al suo patrimonio. Altri europei decisero che a causa di questo patrimonio la Grecia dovesse essere liberata dall’impero ottomano”, spiega Evangelos Kyriakidis dell’organizzazione Initiative for heritage conservation. In Grecia lo stato rivendica la proprietà esclusiva del passato. Chi prende un metal detector e cerca delle monete antiche, come si fa in molti paesi, rischia di finire in carcere. Le iniziative culturali private, anche quelle finanziate dai greci, spesso sono snobbate.

Il problema è che Atene non può più permettersi di proteggere tutti i tesori del paese. Il sistema che gestisce il patrimonio archeologico è al collasso. Degli oltre diecimila siti archeologici riconosciuti, solo duecento sono aperti.

La crisi dei migranti impone un maggior coinvolgimento dell’Europa, ma anche in ambito culturale è necessaria  una collaborazione più stretta tra i paesi del vecchio continente. L’inaugurazione di un sito archeologico a Creta, prevista per giugno, sarà un’occasione per sottolinearlo. L’Unione europea ha versato il 90 per cento dei fondi per la costruzione di uno dei pochissimi musei in loco della Grecia.

Nikos Stampolidis, professore di archeologia all’università di Creta, che ha dedicato la vita agli scavi, sottolinea che il museo di Eleftherna “getterà una luce su quello che gli archeologi chiamano il medioevo greco, ovvero l’età precedente al periodo classico”. A quel tempo risalgono, tra l’altro, i poemi omerici. Mentre l’Europa sembra scivolare in un nuovo medioevo, cosa c’è di meglio di un museo sull’epoca del primo grande scrittore per celebrare i valori dell’Europa, condivisi ma sempre più attaccati?

 


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