La grande fuga degli studenti dai Beni culturali

Un articolo di SALVO INTRAVAIA pubblicato su La Repubblica il 03/01/2018

Nella culla del patrimonio artistico, gli studenti universitari fuggono dalle facoltà dedicate al Turismo e ai Beni culturali. Un paradosso tutto italiano confermato dai dati di immatricolazione del 2017, in forte calo rispetto al passato. Di più: se si prendono in considerazione gli ultimi dieci anni, i nuovi ingressi si sono assottigliati di oltre un quarto. Patrizia Battilani, docente presso l’università di Bologna e membro del comitato editoriale del Journal of Tourism History edito nel Regno Unito, ha le idee chiare: «Credo che il nostro paese abbia un atteggiamento snob sul turismo, trattato come un settore di serie B». Ma non solo: «La laurea in Scienze del turismo non è sempre spendibile anche perché le nostre aziende sono spesso a conduzione familiare o di piccole dimensioni. Tali da non giustificare la presenza di figure altamente specializzate e dove la stessa professionalità occupa diversi ruoli».
Secondo i dati forniti da Almalaurea, ad un anno dal percorso triennale meno della metà (il 46,5%) dei laureati lavora, con un guadagno medio che si aggira attorno ai 918 euro netti al mese. Nel 2015-2016 i laureati in Scienze del turismo sono stati 1.576 (-27% le immatricolazioni), mentre quelli in Beni culturali, i cui immatricolati calano del 26%, sono stati 3.394. Ci sono poi tanti corsi di laurea (Economia, Lettere ed altro) che prevedono corsi con indirizzi rivolti proprio alle scienze del turismo o ai beni culturali. Ma conteggiare gli iscritti resta un’impresa.

Il flop? Tutta colpa della disattenzione della politica verso questi due settori che all’estero vengono coccolati, dicono gli addetti ai lavori. Per Ivano Dionigi, presidente di Almalaurea, si tratta «di uno dei paradossi del Paese che manca di valorizzare il suo capitale primario: quel patrimonio turistico-culturale che tutto il mondo ci riconosce e ci invidia». Quasi metà (il 49,3 %) dei laureati triennali in Beni culturali lavora ad un anno dalla tesi, ma i loro guadagni sono piuttosto risicati: appena 731 euro netti al mese. Secondo Gaetano Manfredi, presidente della Conferenza dei rettori (Crui) «da un lato, c’è stato il blocco delle assunzioni nel settore pubblico che ha scoraggiato gli studenti. Dall’altro i profili richiesti nei concorsi non sempre corrispondono con quelli dei laureati in Beni culturali. C’è un disequilibrio tra quelli creati dagli atenei e quelli richiesti dal mondo del lavoro, che contempla anche competenze manageriali e organizzative».

Ma cosa ne pensano i ragazzi? «Purtroppo, il calo delle immatricolazioni in questi corsi non sorprende – dice Elisa Marchetti, a capo dell’Unione degli universitari – La scarsa considerazione che si ha nel nostro paese di questi settori porta infatti a generare negli studenti uno scarso interesse negli studi di questo tipo. Con sbocchi occupazionali per nulla sicuri o senza le tutele minime garantite».

Uno che ci crede, nonostante tutto, è invece Andrea Sommavilla, studente di Beni culturali a Trento. «Ho scelto questa facoltà per passione – spiega – Non credo ci sia un paese migliore del nostro per intraprendere questi studi. Purtroppo, non credo che questo settore sia adeguatamente valorizzato e nei concorsi non sempre la nostra laurea è presa nella giusta considerazione. Come fa la Germania ad avere un Pil legato al settore del turismo superiore al nostro?». E il piano B resta sempre dietro l’angolo: «Credo, e penso di interpretare il pensiero di tanti colleghi, che un eventuale impiego all’estero rappresenti soprattutto una perdita per il nostro Paese».

Ma qualcosa si muove. Stefano Consiglio, alla Federico II di Napoli, forma i cosiddetti manager culturali. «Il blocco del turn-over degli anni scorsi ha rappresentato un disincentivo per i giovani. Una piccola inversione di tendenza è arrivata dalle assunzioni al ministero dei Beni culturali dell’ultimo governo». «Anche se – conclude Fabio Mazzola, docente dell’università di Palermo – in momenti di crisi i giovani si orientano su lauree più tradizionali, negli ultimi due anni registriamo una crescita di attenzione sia sul versante dei Beni culturali che su quello delle Scienze del turismo. Un piccolo segnale di speranza».

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