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“Mi riconosci”? E’ una domanda che ci è sembrata particolarmente esemplificativa della nostra condizione e delle tante esperienze quotidiane che molti di noi hanno vissuto. I Beni Culturali e il patrimonio storico-artistico rappresentano nella percezione collettiva della cittadinanza un elemento di punta del nostro Paese e, al tempo stesso, un esempio dell’incapacità di valorizzare i nostri punti di forza: parte integrante della nostra storia e della nostra identità, potenziale motore dell’economia e dello sviluppo, ma anche una ferita profonda a causa del livello insufficiente di impegno nella sua tutela.

Eppure, troppo spesso anche fra i più sensibili al tema, persiste un processo di vera e propria rimozione: il disconoscimento delle professionalità coinvolte nel lavoro di conservazione e promozione dei beni culturali. Un’attività che a stento viene riconosciuta come un lavoro, nonostante anni di formazione universitaria e di specializzazione per svolgere mansioni di interesse collettivo, che non è valorizzata nella sua funzione sociale ma ridotta al rango di passione o di hobby, che non gode di un adeguato impianto legislativo di riferimento. Siamo di fronte a una visione pericolosa, che già fa sentire i suoi effetti distorsivi: negli anni l’opinione pubblica non ha percepito come un problema la sottrazione di dignità professionale e di diritti ad operatori e professionisti dei beni culturali.

Dopo anni di definanziamento, oggi si torna a investire nel settore e ad assumere. Poco rispetto alle reali esigenze del settore, ma questa premessa deve per noi agganciarsi alla prospettiva di un intervento riformatore delle professioni e delle condizioni di lavoro del settore stesso. E’ con questo spirito che, a partire dai percorsi aperti dalle organizzazioni studentesche Coordinamento Universitario e Rete della Conoscenza, abbiamo lanciato l’idea di una campagna per il rilancio dei Beni Culturali e la redazione di criteri unici per la definizione delle categorie dei professionisti operanti nel settore, sulla scia dell’approvazione della cosiddetta “Legge Madia” (legge 110/2014) sul riconoscimento delle professioni dei Beni Culturali. Per la prima volta nella storia italiana, gli operatori del settore hanno visto riconosciuto per legge la propria professione, ma dall’estate 2014 ad oggi non si è ancora concretizzata l’attuazione della legge, in particolare l’individuazione dei criteri per l’accesso ai registri nazionali delle varie professioni.

Vogliamo non soltanto che il nostro lavoro venga pienamente riconosciuto con la definitiva attuazione di una richiesta che le associazioni dei professionisti dei beni culturali portano avanti da decenni, ma che la decisione dei criteri per l’accesso alla professione sia frutto di un percorso che coinvolga in prima persona i soggetti coinvolti, a partire dagli studenti e dai lavoratori del settore. Esattamente il contrario di un modello decisionale sempre più autoritario ed escludente, che sempre più caratterizza il modus operandis dei governi che si sono succeduti negli ultimi anni alla guida del Paese e che si traduce in un peggioramento delle nostre condizioni di vita

Da qui l’idea di una campagna forte, da portarsi avanti in ogni sede, che riapra in termini ampi il dibattito sul settore dei beni culturali, a partire dal tema del riconoscimento dei professionisti, ma che riesca progressivamente a focalizzarsi sui diversi problemi esistenti: formazione, risorse e investimenti pubblici, accesso alla professione e condizioni lavorative. Nel nostro documento sono affrontati i nostri primi punti programmatici, che rientrano in tre temi fondamentali, strettamente legati l’uno all’altro: la richiesta di maggiori e più mirati investimenti nel settore;  requisiti chiari, condivisi e vincolanti per l’esercizio delle professioni, che vadano a specificare la “Legge Madia”; e conseguente riforma e rinnovamento dei corsi di studio nelle discipline dei Beni Culturali (triennali e magistrali) sulla base di criteri comuni.

Di seguito il nostro manifesto programmatico in pillole:

  • Rilancio del settore con maggiori investimenti, non solo dal punto di vista della quantità ma soprattutto per quanto riguarda la scelta del personale che vi opera, e la qualità del lavoro.
  • “Legge Madia” sul riconoscimento delle professioni: inclusione della componente studentesca nei tavoli in cui saranno decisi i requisiti per svolgere la professione.
  • Requisiti vincolanti: nessuna scappatoia (quali quelle che la Legge sembra prevedere) per chi non sia in possesso dei requisiti stessi.
  • I requisiti che vogliamo: Laurea Magistrale (o titolo equiparato) per essere professionista, Laurea Triennale con determinati CFU per essere collaboratore professionista.
  • Riduzione dei costi e fasciazione sulla base del reddito per tutti i corsi Post-Laurea che diano accesso ai gradi più alti delle professioni.
  • Riforma dei corsi di studio del settore: eliminazione di gravi disparità, maggiore omogeneità per quanto riguarda i corsi che diano accesso alla stessa professione, miglioramento della qualità dell’offerta formativa, corsi Magistrali meno slegati dal mondo esterno all’Università.

 

 


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