L’emergenza coronavirus in pochi giorni mette in durissima crisi il sistema museale degli Stati Uniti, largamente basato su contributi e gestione privata.

Il grido d’allarme lanciato il 19 marzo dall’American Alliance of Museums, l’istituzione che rappresenta i musei degli Stati Uniti, ha fatto il giro del mondo. In una nota l’istituzione segnala di avere “disperato bisogno di supporto federale per mantenere i posti di lavoro, per tutelare il nostro patrimonio culturale, per aiutare la ricostruzione dell’industria turistica nazionale, e semplicemente per sopravvivere nei mesi che verranno”: i licenziamenti sono già iniziati, ed è ventilata possibilità di licenziamenti di massa, ma soprattutto si sottolinea che “il 30% dei musei, molti dei quali appartenenti a comunità piccole o rurali, non riapriranno senza una significativa e immediata assistenza finanziaria d’emergenza”.

Non riapriranno. Si badi che queste parole arrivano in una fase in cui l’emergenza coronavirus negli Stati Uniti è agli inizi: chiusure e blocchi sono arrivati con settimane di ritardo rispetto al nostro Paese. Sono parole che hanno un impatto non solo negli Stati Uniti, mettendo in fortissima discussione l’efficacia del modello americano di gestione del Patrimonio culturale, basato su istituti privati che funzionano come vere e proprie aziende, gestiti e finanziati in larga parte da soggetti privati. Un modello che ha trovato nei decenni tantissimi ammiratori nel nostro Paese, che ne auspicavano l’esportazione e imitazione: ancor questa settimana  altissimi dirigenti ministeriali, ignorando la nota della AAA, sostengono che il crollo di entrate registrato nei Musei italiani negli USA sarebbe stato molto meno grave. Ecco, no, non è così. 

Sia chiaro che i più attenti non hanno mai visto nella gestione americana dei musei un buon modello, non solo per la storia completamente diversa che i musei americani hanno rispetto a quelli italiani, ma anche perché quel sistema non è in grado né di preservare il legame con il territorio né il ruolo sociale ed inclusivo del museo, volto a costruire consapevolezza e coscienza nella cittadinanza. Senza volersi soffermare sul fatto che, per aumentare le proprie collezioni, i grandi musei USA hanno attivamente finanziato il mercato nero e il commercio illegale di opere d’arte.

Ma gli eventi di questi giorni mettono in discussione anche l’aspetto cardine dei musei statunitensi: quello economico. L’emergenza coronavirus non rende solo impossibile l’autofinanziamento mediante bigliettazione e merchandising, ma fa crollare anche le donazioni private: come spiega la nota, a causa della volatilità del mercato molti sostenitori riconsidereranno i loro contributi. Per questo i Musei americani chiedono che il Congresso dia a tutti i singoli cittadini la possibilità di donare ai musei accedendo agli incentivi fiscali prima previsti solo per le aziende: un cambio di rotta, verso un microfinanziamento con migliaia di donatori locali, che non appare di poco conto, per quel sistema.

Insomma, nel Paese patria del capitalismo contemporaneo, in cui il modello di gestione privata del Patrimonio culturale ha raggiunto l’apice dello sviluppo, i Musei invocano importanti aiuti statali e pubblici in modo da poter rimanere aperti, rivendicando il ruolo sociale e culturale che rivestono per i cittadini. Ciò non deve certo indurci a rinunciare a migliorare il nostro sistema museale, aumentandone la capacità di attrarre donazioni e di finanziarsi attraverso contributi diversi dalla semplice biglietteria. Deve però rendere chiaro a tutti che un sistema culturale in cui gli enti pubblici non giocano un ruolo fondamentale è totalmente soggetto alle leggi e alle debolezze del mercato, il quale può imporre gusti, scelte e anche chiusure. Mentre ci auguriamo una pronta riforma dei Musei americani, che ne permetta sopravvivenza e prosperità, auspichiamo di non dover mai assistere a situazioni simili per i nostri musei, grandi e piccoli che siano.

“Museums are community anchors, addressing challenges in times of crisis like the one we are currently experiencing”

(American Alliance of Museums, 19 marzo 2020)

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